Vide da vicinola Shoah, la denunciò nei dettagli agli Alleati che per ragioni superiori, i grandi intrecci delle politiche internazionali e la guerra in corso, ignorarono il suo grido alto e sdegnato.
Jan Karski, testimone del martirio del popolo polacco, delle deportazioni, dell’esistenza dei campi si sterminio, ne parlò a lungo sia in Inghilterra con Antony Eden che negli Stati Uniti con il presidente Delano Roosevelt senza un risultato. Era il 1942,la Poloniaera stata invasa dai tedeschi nel 1939. Ne scrisse nel 1944, il suo libro-rapporto fu letto negli Usa, andò a ruba (400 mila copie) poi scomparve, risucchiato dal grande oblio per riapparire a Varsavia nel 1999, dieci anni dopo la fine della guerra fredda. Lo sterminio intanto era proseguito, dopo Dachau, Auschwitz, Bergen-Belsen, Flossenburg, Mauthausen, Gusen, e altri ancora. Milioni di vittime innocenti, ebrei, politici, operai, comunisti, Testimoni di Geova, malati mentali, bambini, omosessuali.
Prima di partire per la sua “missione” politica, Jan Karski, un giovane di venticinque anni, famiglia borghese di Varsavia, colto, abile, poliglotta, sviluppa una serie di contatti con tutti i gruppi antinazisti polacchi, raccoglie notizie, nel 1940 va in Francia per informare il generale Sikorski, capo del governo polacco in esilio, sull’attività di Resistenza. Un lavoro frenetico. Parte per una seconda missione per l’Europa ma è intercettato in Slovacchia, arrestato, interrogato, torturato e ridotto in fin di vita dalla Gestapo. Riuscirà a fuggire aiutato da un medico polacco e da resistenti locali. Torna in patria e diventa il coordinatore ufficiale dello Stato clandestino. Poi il viaggio per Londra e New York, il passo per segnalare ai vertici del mondo libero il terrore nazista e anche staliniano. Attraversa Berlino, Parigi, Perpignano, Barcellona, Gibilterra. Finalmente la “missione” è alla svolta. A Eden e Roosevelt racconta nel dettaglio la repressione antisemita. Lo fa sulla base delle testimonianze avute dai leader clandestini con cui si era incontrato e delle esperienze di lotta vissute dentro il ghetto, dei viaggi compiuti sino in Lettonia, dove, travestito da ufficiale ucraino, assistette coi suoi occhi alla morte tremenda di decine di ebrei stipati in vagoni ferroviari dove le esalazioni della calce viva producevano il gas letale.
Niente servì alla causa delle vittime, la condizione in cui esse vivevano, le ricostruzioni compiute dagli esponenti clandestini del Bund (il partito socialista degli ebrei polacchi e lituani) e del movimento sionista.
Jan Karski riconosciuto dalla Yad Vashem “Giusto fra le Nazioni” nel 1982, si scontrò quasi sempre con l’imbarazzo e la reticenza dei suoi interlocutori poco inclini ad assumere degli impegni che in quel momento erano lontani dalle loro necessità del momento. Il polacco raccontava loro della morte a catena e quelli annotavano ma non agivano. Era materia che non gli interessava. Neppure le insistenze, le pressioni, il rimorso che si sarebbe abbattuto su di loro come una bestia feroce. Sappiamo che qualche aereo volò e fotografò dall’alto Auschwitz, fissando il filo di fumo bianco verso il cielo.
Non servì neppure quello. Il destino aveva segnato a vivo questo personaggio brillante, audace che avrebbe voluto fare la carriera diplomatica. Ne aveva i mezzi finanziari e intellettuali.
Quel destino che il 23 agosto 1939, reduce da una festa da ballo, coincise con l’arrivo della cartolina-precetto, che lo destinò in un luogo simbolo di quella storia che avrebbe caratterizzato la sua vita. Oswiecim per i polacchi, Auschwitz per i tedeschi. Un luogo dove Jan Karski trascorse coi camerati giorni sereni. Per poco tempo, purtroppo, perché l’avanzata tedesca li avrebbe buttati indietro nelle braccia dell’Armata Rossa che avanzava da oriente. Cominciò un’altra vita: imparò a fuggire, travestirsi, nascondersi sino a entrare nella Resistenza nazionale, l’Armia Krajowa, l’Esercito della Nazione. Sarà il trampolino di lancio per la sua grande speranza. Salvare i fratelli ebrei e i fratelli combattenti. Imprese, non per sua colpa, fallite.
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