Quelle parole di Papa Francesco a Lampedusa sono un pugno allo stomaco per tutti noi. “Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli?”. Sappiamo chi li ha costretti a fuggire dalle loro terre per sfuggire dalla guerra, dalla fame, dalla disperazione; per anni abbiamo però distolto lo sguardo dalla loro tragedia, non abbiamo visto il dolore dei giovani, delle donne, dei bambini costretti a lasciare le coste dell’Africa, un tempo ospitali, per sfuggire al sottosviluppo. “Per arrivare qui – ha detto un profugo – abbiamo subito violenze dei trafficanti e sofferto per motivi politici ed economici”.
Noi abbiamo continuato a fare affari con i governi dei loro Paesi, gli italiani hanno continuato a frequentare da turisti le loro spiagge ma nessuno sembra essersi accorto che, in venticinque anni, sono morti annegati più di ventimila esseri umani sbattuti dalla tempesta con le loro fragili imbarcazioni. I nostri politici ci hanno fornito un comodo alibi “aiutiamoli, ma a casa loro” ma, in effetti, gli aiuti non ci sono stati, la collaborazione con i governi è stata a senso unico per riprendersi indietro gli emigranti di troppo. Troppo poco per una nazione come la nostra che, nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, ha visto la partenza nel continente europeo e nelle due Americhe di venti milioni di emigranti: Papa Francesco è uno dei loro figli.
Italia ed Europa hanno fatto poco o nulla per accogliere questi diseredati, li hanno spesso umiliati e se ne sono disinteressati lasciandoli alla mercé di trafficanti senza scrupoli che speculano sul loro lavoro e persino sui tuguri in cui sono costretti ad abitare. È questa la civiltà europea?
Certamente c’è anche una questione di limiti, non possiamo accogliere tutti quando, in tempi di crisi, la vita è difficile per tutti e manca il lavoro anche per i nostri giovani; tuttavia ciò non giustifica lo sfruttamento né la disistima verso il “diverso” che, oltretutto, con il suo lavoro sottoretribuito contribuisce ad alimentare i conti pubblici e la ricchezza del Paese.
Fino all’inizio degli anni Ottanta l’Italia, nonostante fosse più povera di adesso, era tra i contribuenti più generosi nei confronti dei poveri del mondo ma con il tempo il nostro contributo collettivo è diminuito sino a diventare insignificante.
Ci sentiamo in profondo disagio di fronte alle parole del Papa: “Domandiamo al Signore la forza di piangere sulla nostra indifferenza e sulla crudeltà che c’è nel mondo”. È venuto meno il senso di solidarietà anche per i vicini, figuriamoci per gli immigrati; non ci sentiamo più legati da un unico destino e il nostro cuore si è inaridito, chiuso in una “bolla di benessere” che ci rende estranei l’un l’altro. Si può ancora parlare di popolo cristiano? Il Vangelo ci ha annunciato un “comandamento nuovo” e ci ha insegnato che saremo giudicati sull’amore del prossimo; se non è così cosa vale la nostra devozione? Come cattolici dobbiamo seriamente interrogarci se siamo ancora capaci di seguire la via tracciata da Gesù: l’amore per tutte le persone in cui è riflessa l’immagine di Dio.
Le responsabilità vanno oltre gli individui; Papa Francesco ha alluso apertamente a un sistema internazionale di potere costruito dalla economia finanziaria che condiziona gli stessi governi e le autorità internazionali: la politica non serve più a promuovere i diritti oggettivi delle persone, ma a soddisfare i desideri dei ceti consumisti e a tutelare la ricchezza di pochi privilegiati. Questa assurda distribuzione del reddito, anche a livello internazionale, provoca grandi disparità sociali ed è la causa del dramma degli immigrati. Le sue conseguenze sarebbero state meno devastanti se l’opinione pubblica dei Paesi Occidentali, che ha ancora molto peso nelle scelte dei governanti, fosse stata guidata da principi etici piuttosto che da atteggiamenti egoistici.
Dopo la visita di Francesco Lampedusa non è più il luogo della disperazione ma può diventare il simbolo della speranza per un domani migliore: i suoi abitanti hanno offerto un esempio meraviglioso anche se ignorato: con le loro barche hanno messo in salvo molti immigrati, hanno dato loro coperte e vestiario, hanno fatto collette alimentari. E noi? Siamo rimasti imprigionati da una propaganda xenofoba che ci ha instillato la paura dei diversi, che ci ha fatto dimenticare che siamo tutti fratelli e che abbiamo un destino condiviso; nessuno si salva da solo. La breve visita di Papa Francesco ha cambiato la percezione della gente nei confronti della Chiesa Cattolica, l’unica istituzione globale che ha a cuore la dignità e la sorte di tutti gli esseri umani. Una villeggiante ha detto: “Sono qui in ferie, non partecipo a una messa da anni, però sentivo di doverci essere”: La fede è un dono ma se non apriamo il nostro cuore al prossimo, il dono è rifiutato.
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