Qualche tempo fa il noto Gran Pignolo, e cinefilo di vaglia, Mauro della Porta Raffo ha diffuso una nota, riprendendo una citazione di Katharine Hepburn: “John Wayne è stato l’eroe degli anni Trenta, degli anni Quaranta e di quasi tutti gli anni Cinquanta. Prima che i vermiciattoli cominciassero ad alzare la testa…”. Niente di più vero – anche se soltanto cinematograficamente –, e detto per di più da una grandissima attrice, la Hepburn appunto, anch’essa protagonista sugli schermi per qualche decennio,
Perché davvero John Wayne – The Duke, il Duca come l’hanno sempre chiamato a Hollywood – è stato l’eroe americano di quasi mezzo secolo, il forte cowboy – di più – il cowboy pioniere, il mito sopravvissuto a sé stesso in ogni età. Dei circa centocinquanta film che le biografie gli accreditano, più del trenta per cento sono western e molti altri sono film di guerra o di azione, compresi quelli sul finir di carriera in cui interpreta le attempate (ma sempre eroiche) figure del tenente di polizia Parker (in inglese Lon McHugh) o dello sbrigativo ispettore Brannigan, rispettivamente del 1974 e del 1975: John, che aveva nei due film 67 e 68 anni, sarebbe già dovuto essere in pensione da tempo, almeno secondo le regole previste dall’ex ministra Fornero.
Perciò alla stima manifestatagli apertamente dalla Hepburn e alla sua grandezza di attore aggiungiamo pure gli anni Sessanta e Settanta. Del resto John Wayne ebbe il riconoscimento ufficiale della cinematografia hollywoodiana (l’Oscar in qualità di miglior attore) solo nel 1970, per il film “Il Grinta” (The Grit), diretto da Henry Hathaway nel ‘69. Lo stesso film fu riportato al successo nel 2010 da Joel ed Ethan Coen con Jeff Bridges come protagonista. Mentre Wayne ne aveva riproposto un seguito (non eccelso) nel ’75 – “Torna “El Grinta” (Rooster Cogburn) – insieme con Katharine Hepburn. “Ombre rosse” (Stagecoach), del 1939, di John Ford, che è il capolavoro che sappiamo, il film che di fatto l’aveva lanciato nell’empireo di Hollywood, alla consegna dei premi Oscar dell’anno 1940 si era visto battuto da “Via col vento” (Gone with The Wind). L’unico del film a essere premiato – come miglior attore non protagonista – fu Thomas Mitchell. Come miglior attore Wayne non aveva nemmeno ottenuto la nomination. Ma Ford era un regista che con gli Oscar aveva un grosso credito.
Del gruppo fordiano, a ogni buon conto, Wayne aveva cominciato a fare parte fin da giovanotto, insieme con altri amici, compagni di bisbocce e di scazzottate non solo cinematografiche: Ward Bond e Victor McLaghen, cui spesso si aggiungeva un altro eroe del western, Bruce Cabot. E il film tra i più famosi e importanti di quelli interpretati da Wayne, “Un uomo tranquillo” (The Quiet Man), del 1952, ancora di Ford, è proprio una sagra della scazzottata. Qui Wayne, ex pugile, è costretto a battersi con il fratello (Victor McLaghen) della sua bella irlandese (Maureen O’Hara), dovendone conquistare la mano e il rispetto: una sagra del pugilato un po’ naif – s’è detto – e anche delle più “antiche” e genuine tradizioni irlandesi (anche il padre di Wayne Clyde Morrison e la madre Mary erano di origine irlandesi). A Ford nel 1953 andò ancora il l’Oscar per la regia, e il miglior attore protagonista quell’anno risultò Gary Cooper per “Mezzogiorno di fuoco”. Bei tempi per il western.
Dell’eroe Wayne e del suo mito (probabile, per esempio, che Gianluigi Bonelli si sia ispirato alla sua figura per il personaggio di Tex Willer, si pensi anche all’abbigliamento: la camicia con la pettorina che Wayne indossa in “Ombre rosse” e che ora “appartiene” a Kit Willer… ) si conoscono anche le passioni conservatrici e patriottiche. Il film “Berretti verdi” (The Green Berets), del 1968, che John interpretò e condiresse con Ray Kellog e John Gaddis, in piena guerra del Vietnam, gli procurò non poche critiche. Ma Wayne se ne infischiava. Amava la sua patria, in modo viscerale, anche se non aveva potuto servirla in armi (gli sarebbe piaciuta la Marina) perché già maritato e padre di quattro figli.
Diceva spesso. “Ringrazio Dio ogni giorno di essere americano… ”. Si fa fatica, da noi, a pensare una frase del genere pronunciata da qualche attore della nostra nouvelle vague italiana: che so, un Castellitto, un Mastandrea, un Argentero.
Magari nel passato l’avrebbero detta altri grandi – il romano Sordi, il genovese Gassman, il frusinate Mastroianni, il cremonese Tognazzi –, chi lo sa. Forse con qualche precisazione e molti distinguo.
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