È trentina di nascita ma vive a Varese una delle più interessanti autrici contemporanee di teatro, Angela Dematté, trentatre anni, moglie del regista Andrea Chiodi e madre di due figli, che ha vinto il Golden Graal e il Premio Riccione 2009 con un lavoro su Mara Cagol, la moglie del fondatore delle Brigate rosse Renato Curcio. Il testo, intitolato “Avevo un bel pallone rosso”, parzialmente scritto in dialetto trentino, è stato esportato con successo a Parigi e in aprile ha conquistato il Palmares du Theatre Coup de Cœur nell’interpretazione di Richard e Romane Bohringer, premiata ditta d’attori transalpini che lo ha fatto tradurre dall’italiano.
“È il drammatico dialogo di un padre e della figlia tra affetto e incomprensioni – spiega l’autrice –. Mi sono chiesta come una ragazza cattolica di buona famiglia abbia potuto fondare le Brigate rosse. Nel testo c’è anche la curiosità di capire quel periodo storico. La mia generazione conosce poco il ’68 e ho tentato di comprendere l’ambito ideologico in cui è cresciuto chi ci ha educato. Il padre di Mara Cagol non capì mai le ragioni della scelta della figlia, si ammalò e morì un mese dopo di lei, uniti fino alla fine. Ho anche incontrato Renato Curcio, ha letto il testo ma non ha voluto sapere di più sul progetto”.
Angela Dematté è nata il 23 aprile 1980 e ha iniziato a scrivere da piccina. “Volevo fare l’attrice – racconta – ma abitavo in un piccolo paese, Vigolo Vattaro in Valsugana, dove potevo al massimo sognare di calcare un giorno le assi del palcoscenico. Noi trentini siamo oltretutto timidi e schivi. A 19 anni il trasferimento a Milano, la laurea in lettere moderne alla Statale con una tesi sull’attrice Lucilla Morlacchi, che poi è diventata la mia maestra. Dal 2003 al 2005 ho frequentato l’Accademia dei Filodrammatici, ho lavorato in teatro come attrice e ho incominciato a leggere gli autori contemporanei”.
La vena d’autrice si è rivelata all’improvviso. Dopo il testo sulla Cagol ha scritto “Stragiudamento”, monologo su Giuda Iscariota rappresentato due anni fa al Sacro Monte con la regia di Andrea Chiodi. Un’altra pièce, “Stava la madre”, ha debuttato il 13 giugno a Lucca con la regia di Sandro Mabellini per la rassegna I Teatri del Sacro ed è una riflessione sullo Stabat Mater di Jacopone da Todi. Due donne del popolo chiamate a fare le comparse in un film americano come statue sotto la croce, incominciano a parlare della loro vita.
Sempre a Lucca in giugno ha partecipato a un lavoro dedicato alle vittime del terrorismo e della mafia. Al centro, il drammatico tema dell’elaborazione del lutto. Si tratta del progetto Chi resta di Carmelo Rifici, scritto insieme a Renato Gabrielli, Roberto Cavosi e allo stesso Rifici con gli attori della Proxima Res.
Nuove sfide si profilano all’orizzonte. “Debutterò in novembre a Bolzano grazie a Marco Bernardi, il direttore dell’associazione dei teatri stabili italiani che mi produce. In questo momento i teatri stabili sono in crisi, hanno costi di gestione esorbitanti e rendono poco. Il suo è dunque un atto di fiducia di cui lo ringrazio. Il testo s’intitola ‘L’Officina-Storia di una famiglia’ ed è la vera storia della mia famiglia, fabbri artigiani fin dall’Ottocento. Io scrivo, recito e interpreto me stessa in un gioco scenico con sette attori per undici personaggi. Sul palco vi sono gli archetipi della mia famiglia, lo zio, il nonno, il bisnonno…”.
“È un’epopea familiare che parla dell’eterna difficoltà di sopravvivere delle piccole imprese, strette fra tasse da pagare e problemi di credito e di com’è cambiata la concezione del lavoro. Il teatro deve interpretare i temi dell’attualità. Ci furono anni in cui il lavoro era meno indispensabile, oggi siamo tornati al lavoro necessario per mangiare. La regia non è di mio marito. Non sempre riusciamo a collaborare. In questo momento lui lavora con Elisabetta Pozzi alla Giovanna d’Arco di Maria Luisa Spaziani. La regia di “L’Officina” sarà di Carmelo Rifici, con cui c’è un rapporto di stima e amicizia. L’anno scorso venne al festival del teatro del Sacro Monte con Anima Errante, un testo di Roberto Cavosi con Maddalena Crippa”.
Scrivere di teatro non è un mestiere facile. “Gli autori in Italia sono poco considerati. Una volta avevamo Testori, Pasolini e critici illuminati come Franco Quadri che sapeva valorizzare i giovani, adesso c’è una nuova leva di autori che sono rappresentati all’estero, ma da noi il teatro vive momenti difficili. Sono rimaste due sole case editrici specializzate, Einaudi e Editoria & Spettacolo. Si tenta di fare qualcosa. Da poco è nato a Roma tra mille polemiche il Cendic, centro nazionale di drammaturgia italiana contemporanea e la Pav collabora con gli artisti a ideare e realizzare i progetti culturali soprattutto all’estero. Ma la produzione italiana è semiclandestina. In Francia è più facile farsi notare”.
Così è stato almeno per Angela Dematté: “Il testo su Mara Cagol in Francia è stato subito pubblicato dalla casa editrice Les Solitaires Intempestifs. Ho avuto la fortuna di trovare due attori, i Bohringer padre e figlia, che cercavano un testo da interpretare insieme e il regista Michel Dydim insieme alla Maison Antoine Vitez l’ha fatto tradurre. In Italia è stato pubblicato sul giornale Hystrio nel 2012 e su una raccolta pubblicata da Editoria & Spettacolo grazie a Rodolfo di Giammarco”.
Un’ultima domanda: come si sta a Varese lontano dai teatri di Milano e Roma? “Milano, un po’, mi manca – ammette Angela – ma per fortuna la strada è tracciata”.
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