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Mentre attendiamo fiduciosi che dopo sette anni il PGT diventi qualcosa di più del documento apparso per un mese alla fine dell’anno scorso, mi sembra opportuno proporre qualche riflessione sulla dimensione dell’area urbana di Varese, aspetto del tutto ignorato dal predetto documento che non riusciva nemmeno ad elencare correttamente i comuni confinanti con la città.
Come chiunque di noi sa per esperienza diretta, le città da decenni sono uscite dai loro confini storici e fisici, complici le infrastrutture che hanno consentito maggiori e più veloci spostamenti e grazie, soprattutto, all’automobilismo di massa che ha dilatato enormemente lo spazio di vita delle persone. Si vive in un luogo e si studia, si lavora, si fanno gli acquisti, si passa il tempo libero in un altro. La città è la trama su cui si dispongono tutti gli spostamenti che mettono in relazione, su di un territorio sempre più vasto, le differenti attività umane. Essa ha confini labili e confusi che non hanno nessuna attinenza con i limiti amministrativi. Quante volte ci è sembrato che un certo luogo fosse definibile come “campagna” salvo poi scoprire che appena al di là dei campi che vedevamo dal finestrino dell’auto c’era una vasta area industriale? Insomma si rimane dentro la città anche quando ci siamo lasciati alle spalle da un pezzo il cartello che ne annuncia il nome e continuiamo ad attraversare territori di altri comuni che si susseguono senza che sia chiaro perché finisce uno ed inizia un altro.
Ma, appunto, dove finisce la città? E, nel nostro caso, fin dove si estende Varese? Il problema della distinzione delle aree morfologicamente urbane da quelle rurali è questione assai complessa che non prenderò certo in esame in questa sede, limitandomi a qualche sintetica definizione. L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), con la collaborazione del Centro Comune di Ricerca di Ispra, ha suddiviso il territorio europeo in Zone Morfologicamente Urbane e l’Unione Europea, con il progetto ESPON; per renderne più chiara l’articolazione, ha individuato i centri generatori delle aree morfologicamente urbane. Varese, così come una ventina città lombarde, ne genera una che si estende da Besozzo a Viggiù e da Crosio della Valle a Tradate. Vi abitavano, nel 2011, 236.984 persone distribuite su 31 comuni e ad essi sembra sensato aggiungere anche i 12.523 abitanti di Clivio e di Brunello, Castronno e Morazzone, i quali, pur essendo rispettivamente ricompresi nelle aree morfologicamente urbane che si estendono da una parte tra Chiasso e Mendrisio e dall’altra tra Sesto Calende e Gallarate, hanno evidenti relazioni funzionali con Varese. Insomma l’area all’interno della quale hanno luogo gli scambi funzionali tipici della città che ha al suo centro Varese, avrebbe poco meno di 250.000 abitanti, oltre tre volte quelli che vivono all’interno dei suoi confini amministrativi.
Tutto ciò sembra essere ignorato dagli estensori del PGT eppure è assolutamente determinante nelle strategie del mercato immobiliare. Quante volte abbiamo visto avvisi del tipo “prestigiose ville vendesi a dieci minuti da Varese”? Se non si tiene conto che la maggiore disponibilità di aree edificabili nei comuni limitrofi alla città ha generato, negli ultimi tre decenni, un consistente travaso di popolazione dalla città al cosiddetto suburbio (solo per fare un esempio, mentre Varese perdeva oltre 10.000 abitanti Malnate ne guadagnava più di 3.000) non si capisce il senso di quell’avviso commerciale. Basta percorre la mattina verso le 8 in uscita dalla città qualcuno dei suoi viali d’ingresso per rendersi conto di dove siano andati a vivere gli oltre 10.000 abitanti che dal 1981 non risiedono più a Varese. E d’altra parte se i valori immobiliari decrescono all’allontanarsi dal centro cittadino o dalle sue zone residenziali di prestigio perché meravigliarsi dell’esodo suburbano?
Eppure le scelte del PGT sono tutte basate sulla possibilità di trasformare un numero consistente di aree attraverso il meccanismo della compravendita dei diritti edificatori, la quale, come è del tutto evidente, non è questione che si possa pensare come un processo che si svolge in condizioni asettiche di laboratorio. È presumibile che ciò che succede nel mercato immobiliare tra Varese e Gallarate si riverberi su ogni punto dell’ambito territoriale che separa le due città, all’interno del quale sono numerosi i punti di contatto tra le rispettive aree urbane.
Anche le Province, nell’estensione dei loro Piani di Coordinamento Territoriale che pure esercitano un ruolo molto debole d’indirizzo della pianificazione comunale, tengono conto del ruolo delle aree urbane. Eppure di ciò che persino un fantomatico Piano Strategico aveva definito Area Varesina non si parla più. A questo proposito mi domando: esiste ancora l’associazione fatta nascere dal Comune e denominata “Varese Europea” per promuovere appunto quel tipo di programmazione?
La vicenda del PGT di Varese è uno dei tanti casi nei quali si è manifestato il fallimento della legge regionale 12/2005 sul governo del territorio. Non solo il suo piano, così come quello di circa il 30% dei comuni lombardi, non è ancora stato adottato, non solo c’è stato bisogno dell’ennesima proroga per il suo completamento, ma anche quando esso sarà vigente non sarà la dimensione vera della città il suo oggetto ma alcuni ambiti dove, se saremo fortunati, dall’incontro tra interessi e valori immobiliari si produrranno quelle trasformazioni dalle quali si pretende di far discendere l’intera strategia del piano. Nel frattempo su cosa è successo alla città, dentro e fuori i suoi confini amministrativi, e su quali siano le idee per il suo prossimo futuro resta ancora il mistero.
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