Le immobiliari accusano il Comune di immobilismo soprattutto per la mancanza di indicazioni per nuove edificazioni. La Giunta obietta che non si può continuare a cementificare il territorio. I partiti si scontrano. Ma la questione è più complessa. Molte sono ormai le domande che la città si pone. Cresce la preoccupazione per la mancata presentazione del Documento di piano che avvii finalmente l’iter di redazione del Piano di Governo del Territorio (PGT). Ma non è stato ancora sufficientemente capito il rilievo politico del PGT. Non si tratta infatti di un documento ‘tecnico’ ma di un programma strategico per i destini di una città.
La politica urbanistica locale deve riflettere sulle potenzialità presenti, sulla necessità di sviluppo sociale, culturale, economico di un territorio più esteso del capoluogo, che non può essere più considerato, oggi, soltanto, nella sua disarticolazione comunale.
La città reale è una città ‘metropolitana’ articolata, multicentrica con una prospettiva di crescita (o di passiva attesa di eventi esterni, ma quali?) che è solo realizzabile nella comprensione diffusa e nella collaborazione, con pari dignità, di tutte le comunità storiche.
Non si conoscono ancora gli orientamenti amministrativi e di proposta delle società incaricate di redigere il PGT e forse un nuovo piano della mobilità condiviso dall’Amministrazione.
Quegli orientamenti sono premesse necessarie da rendere note al più presto per un confronto pubblico. Si obietterà naturalmente che se il PGT è espressione di indirizzi politici sono gli orientamenti generali delle Amministrazioni che contano. Nel caso di Varese dell’attuale maggioranza amministrativa.
Per mia esperienza personale, come vicepresidente della Commissione urbanistica degli anni ’90 ho apprezzato molto, tuttavia, l’apporto ‘esterno’ dei redattori del PRG (tuttora in vigore) per i suoi forti contenuti culturali e di prospettiva possibile, a confronto con altre realtà anche europee, che Varese ha potenzialmente disponibile.
Il progetto della città è anzitutto questione di cultura. E quindi interessa tutti noi.
Mi permetto di ripetere alcune considerazioni che ho già fatto recentemente. Ricostruire questa nostra città complessa e disarticolata attraverso il più ampio confronto, richiede la necessità di stabilire alcuni punti fermi. Innanzitutto occorre ribadire che la città è il luogo delle relazioni sociali. Che è necessario che vadano rimosse le più rilevanti ragioni che impediscono o rendono più difficili queste relazioni. Tutti percepiscono l’inaccettabilità delle condizioni di mobilità caotica, invasiva, inquinante del traffico veicolare privato.
Sono state fatte proposte vent’anni fa (!) con l’avvio della redazione del nuovo Piano regolatore.
Le proposte impegnavano l’Amministrazione ad avviare un progetto, in accordo con le società ferroviarie, per dare nuovo e attuale ruolo al sistema esistente su rotaia, che risale all’Ottocento. Con la creazione di nuove fermate esterne al nucleo abitato e corrispondenti parcheggi veicolari adeguati. Potenziando il trasporto pubblico nella città con la creazione possibile di una linea di tram moderno da Bizzozero a Masnago sulla quale articolare i percorsi degli autobus.
Veniva citato l’esempio di diverse città francesi che avevano ricreato un sistema tramviario prima dismesso come era avvenuto a Varese. A favore della pedonabilità e della ciclabilità cittadina.
Varese, un secolo fa, aveva realizzato questo a partire dalle ferrovie esistenti integrate dal sistema tramviario e di funicolare.
La città futura. Quale desideriamo che sia? Se la città è il luogo delle relazioni sociali quale dovrà essere la sua configurazione, la sua immagine in una prospettiva ambiziosa, forse, ma fondata, di attrattività e di offerta nell’area prealpina? Costruita anche sull’Università e la congressualità?
La sua immagine non è affidabile certo a una più libera edificabilità. Ma alla qualità della progettazione del nuovo dove effettivamente sia richiesto e alla valorizzazione dell’esistente.
Centrale deve essere la caratterizzazione degli spazi urbani di connessione del tessuto abitato: significativi, accoglienti, qualificati. Occorre ridare anche agli spazi esistenti significati civili percepibili.
Non sono date a priori forme astratte a questa città vasta, policentrica. Certo occorre bloccare le ‘villettopoli’ e le tentazioni degli uffici o case a torre inserite come oggetti dirompenti e senza significato in questo nostro delicato e così ammirato paesaggio prealpino.
Deve essere salvaguardato lo spazio coltivato o a verde esterno e interno agli abitati che ancora siamo riusciti a conservare. I nostri abitati devono essere luoghi articolati e significativi dell’incontro, della rilevanza solidale, dove gli edifici e gli spazi delle istituzioni, della religiosità e dei servizi pubblici assumono significato comunitario. Dove la storia, i suoi edifici, i suoi segni sono conservati e rispettati. Dove il nuovo ha il rilievo della qualità progettuale.
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