Quando negli Anni 50 approdavo alla Casa dello Sport di viale 25 Aprile, forse più nota come “la palestra dei pompieri”, primo tempio sacro alla gloria del cestismo varesino, trovavo appollaiati su una piccola tribuna stampa cari colleghi come Mario Lodi, Bruno Minazzi ed Ettore Pagani, i primi due accompagnati dai figlioletti Massimo ed Enrico, pure destinati a una bella carriera giornalistica che oggi, felici pensionati, stanno concludendo nell’ambito dello scatenato clan di Radio Missione Francescana.
Come pochi anni dopo le mie incursioni varesine fatte da inviato del comasco “Corriere della Provincia”, oggi mi ritrovo con un Lodi direttore: quindi da Mario, che mi volle alla “Prealpina”, a Massimo che con pari autorevolezza guida il nostro RMFonline. Ettore l’avrei conosciuto bene anche come avvocato oltre che come splendido collega pubblicista, mai avrei immaginato di ritrovarmelo come direttore, per di più autorevole e tuttavia un tantino meno comprensivo – conosce la pigrizia del suo pollo – dei due adorabili Lodi.
Un Pagani che ho trovato in panni diversi dal momento in cui gli hanno affidato il Calandari della Famiglia Bosina: tutta la sua lunga esperienza redazionale alla Prealpina del Lunedì infatti l’ha riversata nelle scelte editoriali e nella gestione diretta come direttore del Calandari. Il risultato? Il Calandari ha l’onore di essere ospitato nientemeno che dalla leggendaria Biblioteca Ambrosiana.
Della squadra dei collaboratori non sono il più bravo, ma certamente il più anziano, situazione che non mi evita sollecitazioni e rampogne da parte del mio direttore Ettore in caso di ritardi nella consegna dell’articolo, ma anche se egli non rintraccia un minimo di creatività e interesse nelle proposte di lavoro che gli presento.
Per il prossimo numero del Calandari non ha brontolato all’idea di recuperare qualche nota storica sulla Biblioteca Civica, anzi ha dimostrato interesse per la vicenda Baratelli, al punto di autorizzarne una anticipazione su RMFonline. Giuseppe Baratelli, varesino che aveva fatto fortuna in Argentina, al rientro in patria regalò alla nostra sconnessa biblioteca comunale dodicimila volumi e un appannaggio di tremila lire mensili per le spese di gestione. Si era nel 1914, dieci anni dopo il Baratelli chiese la restituzione dei libri, fece causa al Comune disastroso gestore della biblioteca, ma la Cassazione stabilì che la donazione doveva essere considerata definitiva. Tutto però si risolse per il meglio tanto che il Baratelli nel 1925 redigendo il testamento lasciò altre centomila lire alla biblioteca.
Perché proprio oggi l’anticipazione sulla singolare vicenda? Perché l’anno prossimo sarà il centenario del grande gesto del Baratelli e sarebbe il caso di ricordare degnamente un cittadino tanto avvertito e generoso e al quale Varese sino a oggi ha tributato l’onore di un quadro e l’intestazione del fondo dei suoi libri. Inaccettabile.
Stando bene alla larga dai dilettanti comunali delle targhe ricordo, dei monumentini e della toponomastica, brava gente più attenta a personaggi “forestieri” e a fantasiose ricostruzioni storiche, si potrebbe individuare l’occasione propizia per un dignitoso amarcord di Giuseppe Baratelli.
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