I suoi compagni di corsa, i cronisti, gli amici lo chiamavano “l’africano” per via della sua carnagione color cioccolato che al Tour, dove il solo la fa quasi sempre da padrone, diventava, se possibile, ancora più scura. E di Tour de France Emilio Croci Torti da Stabio ne disputò alcuni memorabili in veste di gregario di fiducia e luogotenente di Ferdy Kùbler, il grande campione elvetico vincitore appunto del Tour del 1950 e degli indimenticabili mondiali di Varese della stesso anno sfilati a Fiorenzo Magni con uno sprint superbo sul traguardo delle Bettole.
Se ne è andato la sera di lunedì primo luglio il buon Emilio dopo una lunga vita – aveva novantun anni – guidata da due stelle polari, il ciclismo e la pittura, una passione quest’ultima coltivata fin da ragazzo e poi sviluppata a pieni pennelli subito dopo aver appeso la bici al chiodo nel 1956 al termine di dieci anni di aspro professionismo. Raccontava che il toscanaccio Bartali ammirando i suoi quadri gli diceva “Emilio tu hai sbagliato tutto nella vita, avresti dovuto fare il pittore di mestiere e il ciclista per hobby…”. Provocava il Gino, come da collaudato copione, ma i due erano legati da un’amicizia sincera, senza riserve, nata e cementata sulle strade di mezza Europa quando i campioni svizzeri Kùbler e Koblet contendevano a Bartali e Coppi l’egemonia mondiale nel ruvido sport delle due ruote.
In corsa non si facevano certo sconti, ognuno interpretava il proprio ruolo con grande scrupolo e assoluta professionalità. Parlando di Croci Torti, nella sua casa zurighese, Kùbler qualche anno fa diceva: “È stato dieci anni al mio fianco, sempre disponibile in qualsiasi situazione, di lui non ho mai detto è il mio gregario, mai, ho sempre detto è il mio luogotenente. Era molto furbo e prima di una corsa mi informava di tutte le insidie che avrebbero potuto compromettere la gara. In salita non andava fortissimo ma si difendeva bene, prima di affrontare un colle era lì al mio fianco, mi aiutava finché poteva, col vento contrario mi faceva copertura, grandioso, solo Emilio poteva fare certe cose, nessun altro”. Anche a Varese quando Magni si lanciò all’inseguimento del gruppetto dei fuggitivi di cui Kùbler faceva parte fin dalla seconda tornata, Croci Torti gli si incollò alla ruota e non gli diede mai un cambio obbligando il “leone delle Fiandre” a sobbarcasi tutto il peso della rimonta, una fatica che mise nei muscoli poderosi di Fiorenzo una dose di acido lattico forse fatale in retta d’arrivo. Del resto quei mondiali Croci Torti, che per sette anni fu varesino d’adozione con abitazione in via Dalmazia, li aveva studiati e preparati nei dettagli a beneficio del suo capitano, detto “l’aquila elvetica” per via di un naso non esattamente apollineo. Mario Lodi, mitico direttore della Prealpina, grande intenditore di ciclismo, ricordando il ’51 non mancava mai di sottolineare che “Ferdy Kùbler vinse con grande merito ma che Croci Torti fu il suo mentore, l’istruttore, il maestro di percorso, perché abitava a Varese e conosceva ogni metro delle strade del circuito mondiale”. Non solo, Kùbler con uno strappo alle regole della squadra elvetica, trascorse i giorni e le notti di vigilia non all’Albergo Ticino di via Vittorio Veneto ma nella casa del suo luogotenente il quale aveva spedito la moglie dai parenti in Ticino, gli aveva ceduto il letto matrimoniale e gli cucinava imperdibili minestroni. Una storia incredibile che solo un campione d’umanità come lui poteva progettare e realizzare.
Anche per i mondiali del 2008, evocatori per loro di una lontana stagione di gioventù e di successi, arrivarono insieme a Varese per festeggiamenti e interviste ma si avvertiva con chiarezza che si muovevano con cauta circospezione dentro il ciclismo mediatico, clamoroso e spesso ingannevole dei giorni nostri.
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