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Attualità

PER UNA SOCIETÀ CHE INVECCHIA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 05/07/2013

In una società che invecchia diventa sempre più importante e decisivo il ruolo della sanità pubblica, uno dei pilastri del “Welfare State” europeo. L’invecchiamento della popolazione e il progresso medico-tecnologico sono però un rischio per la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale; per affrontarlo le Regioni stanno pianificando il loro intervento investendo nei meno costosi ma altrettanto efficaci servizi territoriali che consentono di tagliare i costosi posti-letto negli ospedali.

L’ospedale è sempre un presidio importante e insostituibile ma va affiancato da forme di assistenza più vicina alla persone. I nuovi bisogni di salute imposti dalla cronicizzazione di molte malattie impongono una svolta in direzione di strutture sul territorio più vicine al luoghi di vita dei pazienti.

La rete ospedaliera si riorganizza intorno a un modello differenziato che, accanto ad un numero limitato di centri di eccellenza dover si compiono gli interventi più difficili e costosi, vi sono ospedali periferici che si occupano delle operazioni meno complesse e indirizzano ai primi i casi che si fanno complicati.

In pratica i pazienti non dovrebbero essere ricoverati solo in base alle loro patologie ma in relazione alla gravità della malattia e della complessità dei servizi di assistenza necessari. Invece delle decine di reparti accentrati in un unico plesso si punta su un triplice livello di strutture ospedaliere. Un primo livello di alta intensità di cura e di rianimazione; un secondo livello per i ricoveri ordinari di breve durata e un terzo livello riabilitativo per la media e lunga degenza dopo la fase acuta della malattia. Il ciclo di cure sarà coordinato da un “medico tutor” che segue il paziente, prepara il piano terapeutico e da un infermiere referente che lo supporta sino alla dimissione.

In questo contesto, già in fase di attuazione da parte di alcune Regioni, non ha molto senso una polemica come quella che vorrebbe accentrare tutte le cure sanitarie presso l’Ospedale di Circolo di Varese che, essendo ad altissima specializzazione, ha costi di funzionamento molto elevati.

Il nuovo monoblocco è sottodimensionato rispetto ai bisogni, ha un numero di posti inferiori a quelli del vecchio ospedale, con i reparti che non sempre sono in grado di accogliere i pazienti e che contribuiscono, insieme alla insufficienza di presidi sul territorio, al sovraccarico del pronto soccorso che troppo spesso va incontro a fasi di acuta criticità.

È parimenti negativa la disseminazione di piccoli ospedali senza una loro specifica differenziazione in base alla intensità delle cure. Secondo l’assessorato regionale Busto e Gallarate potrebbero essere accorpati in un’unica ASL, Luino va potenziato ma è sbagliato dismettere Tradate. La politica della Regione Lombardia non va esente da critiche; le ingenti somme destinate a poli privati di eccellenza (come Maugeri e San Raffaele) ma anche a discusse cliniche (come la Santa Rita) esigono una più accurata programmazione e più severi controlli.

La polemica intorno alla costruzione del Polo materno infantile sull’area dell’ospedale Del Ponte si basa su di un equivoco: non è un “doppione” del maggiore ospedale che sorge a distanza di poche centinaia di metri, ma un ospedale diverso, con funzioni specifiche, destinato a una categoria particolare di degenti. Già adesso il nosocomio di Giubiano si fa carico di esami che l’ospedale maggiore non riesce a svolgere; tuttavia sarebbe auspicabile un calcolo più preciso dell’effettivo bacino di utenza. Inoltre la mancanza di spazi per la sosta delle autovetture è fondata; la soluzione proposta per il parcheggio sotterraneo nel parco di Villa Augusta è infatti errata, non risolve i problemi del traffico e sacrifica uno dei pochi parchi pubblici cittadini.

Si può e si deve trovare una diversa soluzione, ma non si possono confondere i problemi dell’urbanistica con quelli della sanità; i beni pubblici non vanno messi in concorrenza; una sintesi è possibile. Per amore di verità bisogna anche aggiungere che i difensori del verde cittadino non hanno fatto una piega quando si è distrutto un intero parco per fare spazio al nuovo monoblocco dove ora gli unici fiori che rimangono sono quelli che i visitatori portano ai pazienti; gli alberi abbattuti dovevano essere sostituiti, ma non è accaduto.

Sono inoltre da riqualificare e potenziare gli ospedali di secondo livello che non sono presidi di categoria inferiore ma strutture destinate alla cura di malattie che richiedono cure di diversa intensità e che comportano oneri inferiori.

La nostra Provincia dispone di un solo ospedale con funzioni di riabilitazione (fisiatrica, respiratoria, cardiaca) e di lungodegenza, quello di Cuasso al Monte che, negli ultimi anni, è stato trascurato è ridotto nella sua funzionalità, nel personale e nei posti letto a tutto vantaggio delle strutture private convenzionate che non sempre sono a pari livello e che non hanno gli stessi ampi spazi e l’immenso parco, neppure sono meno eccentrici di quello di Cuasso, situandosi in distanze medie dal capoluogo comparabili a quello.

La sottoutilizzazione della struttura riabilitava ha come conseguenza un inevitabile deficit e un sovraccarico per l’ospedale di Varese; l’uno e l’altro problema potrebbero trovare un accettabile equilibrio se fossero utilizzati con maggiore razionalità. Cuasso al Monte dispone inoltre di edifici e di ambienti che potrebbero ospitare gli anziani non autosufficienti essendo le altre strutture esistenti ormai sature, oltre che fuori delle possibilità delle famiglie per le rette richieste (che variano dai duemila ai tremila euro mensili). Dismettere l’ex sanatorio significherebbe impoverire la nostra dotazione di strutture sanitarie, ma anche pregiudicare il vasto comprensorio di ineguagliabile valore ambientale in cui è inserito e che comprende anche un antico monastero medievale e la chiesa costruita nel parco ma collegata ai padiglioni, inaugurata negli anni cinquanta dall’arcivescovo Montini.

Grave è la situazione della psichiatria anche se la direzione di Varese ha promesso una ristrutturazione dell’attuale reparto; gli ambienti saranno sempre esigui con gli ammalati costretti ad usare un piccolo cortile per muoversi e non tengono conto delle particolari patologie (in aumento) che richiederebbero spazi ben più ampi e personale più numeroso. Varese vantava un ospedale specializzato in neuropsichiatria tra i migliori del mondo; da tutti i Paesi Europei e dagli Stati Uniti venivano delegazioni per visitarlo; non è stato sostituito da un adeguato numero di presidi sanitari e nessuno si chiede quale sorte tocchi ora a questa numerosa e infelice categoria di ammalati.

Infine, la previsione per il futuro della Sanità pubblica contempla una profonda riorganizzazione dei medici di famiglia; non il “dottore” che vive isolato nel suo studio, ma il medico che lavora in collaborazione con i colleghi, compresi gli specialisti ospedalieri, per fare “medicina di gruppo” in ambulatori comuni, dei “mini-ospedali” sotto casa dove, medici di base, specialisti e infermieri seguono i pazienti, evitando quanto possibile di intasare il pronto soccorso e gli stessi ospedali.

Affinché la sanità possa corrispondere alle nuove esigenze in termini di funzionalità ma anche di sostenibilità economica serve affrontare per tempo gli interventi prevedibili in un ottica di programmazione e non di rincorsa delle esigenze che si presentano.

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