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Minima Dialectalia

L’ARTE DI LITIGARE E UN LUNGO AMORE

BAJ - 28/06/2013

L’aver parlato della creatività che può essere attivata durante un litigio, quasi costringe a continuare il discorso soprattutto per sottolineare come anche litigare possa essere un’arte.

Un’arte che, secondo il Baj, raggiunge la sua massima espressione quando riesce a spegnere un litigio con la stessa facilità, la stessa rapidità con cui è nato.

Il Baj lo ha sempre sostenuto, e non semplicemente teorizzando in astratto, ma ricordando con affetto l’esempio della Maria, una sua vicina di casa, che col marito Michele formava la coppia più bella che avesse mai conosciuto. Già eran belli loro, anche ad età avanzata, ma soprattutto era bello il loro cuore. Dai ricordi del Baj, risaltano come due persone sensibili, affettuose, dolci nei gesti e nei sentimenti… e tanto innamorate. Ma, almeno in gioventù, non ebbero vita facile. Fidanzati fin da giovanissimi, dovettero aspettare più di dieci anni prima di potersi sposare. Michele era muratore e fin da ragazzotto gli toccò emigrare in Francia per trovar lavoro. Maria lavorava in fabbrica, ma era brava anche come infermiera. Poi lui fu chiamato alle armi e coinvolto nelle guerre del Duce: prima in Africa, poi in Grecia, infine in Sicilia, dove lo colse l’8 settembre.

Si fece tutta la penisola più o meno a piedi, per scoprire che una volta a casa rischiava o di continuare a fare il soldato per la Repubblica Sociale o di essere deportato in Germania. Da queste parti non era poi tanto difficile scappare in Svizzera. E così fece. Fu internato nella Svizzera tedesca e assegnato ad una fattoria come contadino e uomo di fatica. Quanto meno non patì la fame: patate ce n’erano in abbondanza…

Finita la guerra, finalmente poté tornare a casa e riabbracciare la sua Maria.

Insieme affrontarono le difficoltà della vita senza mai perdere il sorriso.

Per il Baj furono le fonti di saggezza più accorte e misurate, perfino quando raccontavano di quel gioco di casi avversi in cui la Storia grande travolge sempre le storie piccole e che li aveva separati per anni.

Per tutti erano un miracolo d’unione, tanto che appena li si conosceva un po’, veniva spontaneo chiedere il loro “segreto”. Maria, allora, si schermiva dicendo che non c’erano segreti e che a loro veniva spontaneo di volersi bene e di trattarsi bene, senza far fatica. Questa facilità con cui vivevano insieme una vita per altri versi non facile, era certo abbastanza fuori dal comune. Maria però non faceva conferenze sulla vita a due e tutt’al più usava qualche classica espressione dialettale, di quelle che suonano un po’ proverbio, un po’ sentenza, per mettere in guardia, ad esempio, dal parlare troppo e sconsideratamente e dall’usare toni aspri e incattiviti: chí gh’a tórt, vusa fórt, diceva. In ogni circostanza doveva prevalere il rispetto, anche perché: la léngua l’è sénz’òss, ma la fá rump i òss, sentenziava, per dire che sempre, in famiglia e fuori, occorre misurare le parole per non ferire nessuno.

E a chi insisteva a domandare e a dubitare, perfino, che qualche volta non accadesse anche a lei o a Michele di andare oltre il limite, rispondeva che sì, in fondo, un segreto l’avevano davvero. Quando capitava (raramente, ma anche a loro capitava!) di dirsi qualche parola un po’ sgarbata, quando insomma i fuochi del litigio già si annunciavano, avevano escogitato un sistema d’allarme che, da solo, subito spegneva ogni scintilla: a sém da cumpatí, si dicevano reciprocamente: siamo da compatire a comportarci così! Allora le voci tornavano normali, i toni sommessi, le parole più gentili e si ragionava con calma sui motivi del contrasto.

Con questa gentilezza per sé e per gli altri, Michele e Maria vissero fino a tarda età.

Ora non ci sono più.

Se ne sono andati quasi insieme perché non potevano sopportare l’idea di non parlarsi più.

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