Scrivo brevemente su Giovanni Testori che ritorna a Varese a vent’anni dalla sua morte, sia a Villa Mirabello, con una mostra sui pugili da lui dipinti tra il 1969 e il 1971, sia al Sacro Monte, dove verrà presentato il monologo ‘Conversazione con la morte’.
Ho cercato di indottrinarmi quel poco che mi servisse per non scadere nel deja vù sostenendo ritriti concetti, cercando però di non sprofondare nelle sabbie mobili di un dottrinismo facile ma sterile.
Ho rivisto così Gianni (o zio Gianni come s’era appellato, prima del tempo, in una dedica del suo ultimo romanzo), dopo vent’anni che Anna mi aveva portato al San Raffaele, guardando su Youtube un video degli anni 70 con la sua voce apparentemente debole ma piena di verità e perciò altisonante.
Mi sono, spesso, chiesto perché Testori fosse stato così disponibile con me. Ho la vana ambizione di credere che ci accomunasse un idem sentire. Una reciproca volontà di contrastare chi cerca la vita di diminuire.
Non ho potuto così fare a meno di commuovermi guardandolo ancora una volta su You Tube, quasi fosse ancora disponibile a farmi parlare e generoso nell’ascoltarmi .
A continuare un colloquio di vent’anni fa che non poteva non essere problematico.
Dico problematico, perché non poteva essere altrimenti. In lui ci si accorgeva che non c’era mai pace. Ti veniva così spontaneo porgli delle domande. Quesiti ingenui e che ora, col senno di poi, porrei in maniera più complessa e diretta.
In Testori vedevo un’anima in pena piena di curve come un dipinto della Secessione.
Lo si può vedere nei suoi disegni dei fiori sempre attorcigliati; nelle felci tormentate; nei nudi mutilati. Lo si può leggere nei quadri sportivi nei quali emerge la fatica o la problematicità del vivere umano così come nel Neorealismo. È evidente negli scritti sul Corriere apparentemente complessi e introversi; lo si può osservare nei suoi drammatici tramonti dai multi colori sempre accesi.
Questo modo di essere merita un approfondimento che può fornire anche una chiave di interpretazione per i prossimi appuntamenti varesini. Testori aveva una fede viscerale ma al contempo era pure un omosessuale conclamato. Viveva questo apparente scandalo molto problematicamente: un peccato grave che era vissuto con grande sofferenza e dal quale gli era impossibile liberarsi.
Non si sentiva, però, un già condannato in cielo. Perché? Possono trovare conciliazione questa fede e questo orientamento sessuale?
Mi chiedevo perché Testori desse una interpretazione a ciascun accadimento della vita senza mezzi termini, individuando sempre un suo colore pieno e deciso per rappresentarlo: le cose erano bianche o nere. Mai grigie.
La spiegazione di ciò può ben trovarsi nel Vangelo di Matteo: “Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se uno vuol venire dietro me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16:24). Prendere la propria croce è parte del prezzo da pagare se si vuol essere discepoli di Gesù.
A volte sembra che siano proprio alcuni predicatori a non far comprendere bene cosa significa essere un vero cristiano. Si tende troppo a semplificare, a sostituire la sostanza con l’apparenza, a far leva sulle emozioni passeggere, invece, di puntare a scelte ponderate, anche dolorose, ma durature.
A volte capita di udire qualche predicatore che dice: “Se ti alzi e vieni avanti, io pregherò il Signore perché tu sia salvato”. Certo rispondere ad un appello può essere il primo passo, ma non è sufficiente per essere salvati né è sufficiente la preghiera di un predicatore per nascere di nuovo.
Gesù continua ad affermare in modo categorico e serio quali sono le condizioni per appartenergli e per essere eredi con Lui nel regno dei cieli: “Non chiunque dice: Signore, Signore! Entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7:21), e ancora: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16:24).
Certo nessuno di noi può guadagnarsi la salvezza, perché essa è il dono di Dio. Molti di noi possono, però, perderla non comprendendo quella che è la volontà di Dio per la nostra vita.
Essere cristiani, per Testori, non è la decisione di un momento, ma la scelta di una vita. Testori non parla di perfezione. Sa molto bene che siamo lacunosi in molti modi, ma sa anche bene che bisogna scegliere da che parte stare: con Dio, condividendo la Sua volontà, o con il mondo seguendo l’andazzo del presente secolo.
Oggi la Parola di Dio ci dice, secondo Testori, che se volessimo essere davvero Suoi discepoli, a noi deve toccare scegliere. Dobbiamo prendere la nostra croce. Dobbiamo avere i suoi desideri, i suoi scopi, il suo cuore; dobbiamo essere disposti a partire dalle sue sofferenze.
Avere i suoi desideri. Non un cuore che batte per le cose del mondo ma che aspira alla realizzazione del regno di Dio sulla terra e alla gloria, nel cielo.
Avere i suoi scopi. Non vivere per noi stessi ma vivere per la salvezza dei peccatori e per l’edificazione del corpo di Cristo.
Essere disposti a patire le Sue sofferenze. Vogliamo seguirlo sempre, sia quando si tratta di entrare con Lui trionfanti in Gerusalemme, sia quando si tratta di seguirlo nel Getsemani e finanche alla croce.
Avere il Suo cuore. Un cuore che batte per tutti, che ama tutti disinteressatamente, che vede in ogni creatura un potenziale figlio di Dio e una reale persona per la quale Cristo è morto.
Odiare il peccato. Pur amando i peccatori, come Cristo, siamo chiamati ad odiare il peccato e a giudicarlo come la Parola di Dio lo giudica. Siamo chiamati ad identificarci con Cristo, portando la nostra croce.
Sei veramente discepolo di Gesù Cristo? Non c’è discepolato senza la rinuncia a se stesso e senza prendere la propria croce. Se abbiamo pagato questo prezzo siamo a buon punto. Dio ci darà forza e grazia di risultargli sempre più graditi.
Essere discepoli di Cristo è per Testori qualcosa in più che frequentare un locale di culto o avere qualche incarico nella chiesa di cui si è parte. Essere discepoli di Cristo significa appartenergli.
Testori si dimostrava di opinione diversa da Alessandro Manzoni .
Non c’è la ‘Divina Provvidenza’ capace di riunire Renzo e Lucia. Non si può trovare nella propria vita terrena una anticipazione del paradiso.
Solo dopo morti Testori ritiene che si possa avere il perdono da parte di Gesù. Questi non ci lascerà soli a portare la nostra croce. Sarà certo pesante condurla ma ciò sarà un dolce peso. Sopra di essa, Testori dice che ci sarà sempre Gesù Cristo a vegliare sul nostro cammino.
Come l’Innominato sentì le campane che annunciavano Carlo Borromeo e che gli fecero aprire il cuore, allo stesso modo Testori ci invita a prendere una salvifica scossa dialogando e meditando.
Testori portava la propria croce soffrendo per il proprio peccato ma, scrivendo e dipingendo e confidando che i giovani soprattutto potessero avere tramite le proprie opere una scossa coinvolgente.
Sulla base di questo metro potranno interpretarsi sia la mostra dei pugili che la ‘Conversazione con la morte’.
In questa, l’Io del monologo mostra il suo fondo di disperazione e la scomparsa è infine accettata come dolcissima compagna e unico fondamento di senso.
Nella mostra, gli sportivi sono dipinti con una copiosa materia che esprime la loro sofferenza che è quella di noi tutti.
La denuncia di Testori dell’inutilità del facile guadagno per risolvere i problemi dell’uomo; l’invito di Testori ad eliminare quel ghigno di fatica che è proprio quell’entità comune dell’umanità che traspare nelle spine di Sutherland, nelle indefinizioni di Bacon, negli occhi di Tanzio (che ha persino descritto le ossa gli uomini ritratti) e nelle sofferenze che si nascondono dietro le figure del teatro montano, dove è scolpito il dolore degli uomini per la peste, nella Mater Strangoscias, eccetera.
Non cerchiamo di distinguere in Testori cultura e vita che in lui si impastano inscindibilmente. Dimostriamoci capaci di comprendere quali siano le Sue finalità.
Se potesse scrutare, Testori credo che sarebbe così contento.
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