Se a qualche lettore, leggendo il pezzo della scorsa settimana, può essere venuto il dubbio che io preferisca l’oblio alla memoria, l’indifferenza all’impegno civile e al giudizio, ecco l’occasione di un chiarimento. Occorre dimenticare il male, proprio perché è troppo facile ricordarlo mentre è più difficile ricordare e perdonare insieme; ancor più difficile e necessario è ricordare il bene e chi ce lo ha procurato. A tutti capita di pensare che se ci è capitato qualcosa di bene, se qualcuno ce lo ha fatto, in fondo c’era anche molto merito nostro…
Se poi parliamo di memoria civile, di gratitudine per persone che hanno fatto qualcosa di importante per gli altri, spesso viene a mancare l’accordo e chi avanza l’idea di un pubblico riconoscimento ad una personalità incorre nel rischio di essere sommerso dai se e dai ma.
Questa mattina, tuttavia, proprio da Radio Missione Francescana, mi sono lasciato sfuggire una proposta, tanto vale che la sostenga fino in fondo.
Un pubblico riconoscimento a monsignor Enrico Manfredini, prevosto di Varese dal 1963 al 1969, in occasione del cinquantenario del suo ingresso in città.
Non sono sicuro che egli sarebbe d’accordo, anzi sono certo della sua celeste disapprovazione: di certe cose, degli onori, non gli importava proprio nulla. Anche gli abiti da monsignore lo facevano sorridere “devo mettermi in technicolor – diceva – per rispetto delle aspettative della gente;” lo faceva nelle occasioni solenni, perché non sembrasse sciatteria presentarsi come un semplice prete, ma normalmente lo si incontrava con la massima semplicità e familiarità, in chiesa o a casa o negli incontri non liturgici, pronto all’ascolto come al consiglio o magari al rimprovero e persino alla facezia.
Sono assolutamente convinto, invece, che vorrebbe essere ricordato semplicemente dall’affetto delle tante persone che ricevettero da lui benefici materiali e soprattutto spirituali, spesso tutte e due le cose insieme; sono convinto che molte realtà ecclesiali e civili, dalle chiese rinnovate ai gruppi caritativi, dall’Istituto La casa alla Robur et Fides, dai movimenti ai vari gruppi ecclesiali, parlino di Lui più di quanto farebbe un monumento o la targa di una via.
Tuttavia insisto.
Manfredini è stato soprattutto un uomo di Chiesa che ha educato ad amare Gesù Cristo. In questo ha creato le premesse morali di una vita civile e sociale più serena e più attenta ai bisogni di tutti, dei più poveri e di quelli che oggi papa Francesco chiamerebbe “quelli delle periferie”. E sicuramente non gli si potrebbe rimproverare di non “avere addosso l’odore delle pecore”. Ma queste sono anche virtù civili. Come ebbe a cuore l’unità della Chiesa, così si sforzò di promuovere la crescita morale della città, con l’annuncio del Vangelo, ma soprattutto con i fatti, con un impegno accanito e coerente.
Un prete, ma soprattutto un uomo esemplare.
Perciò non alla Chiesa, ma alle istituzioni civili mi rivolgo, per sollecitare un ricordo, un segno materiale che si accompagni, nella caducità di una traccia effimera, pur se iscritta nel marmo o nel bronzo, alla memoria, forse più perenne, vivente nei cuori delle persone che seppe amare e che lo amarono.
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