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Editoriale

RACCOMANDARE

MASSIMO LODI - 28/06/2013

Ce lo raccomanda il Papa: andate controcorrente. Lo  raccomanda ai giovani, in realtà anche ai meno giovani. Troppo conformismo, troppi grigiori, troppa assuefazione. Tutti a dire che bisogna cambiare, pochi a praticare il cambiamento. Per riuscirvi, bisogna darsi una spolverata. Se la deve dare anche la Chiesa, naturalmente, e Bergoglio non manca di sottolinearlo. In Curia, dove si profila un massiccio repulisti, sono i primi ad aver capito che il vento tira da un’altra parte.

E noi da che parte tiriamo, dove ci porta il vento dell’individualismo quotidiano? Non ci porta da nessuna parte, se rimane individualismo. Anche questo ha voluto dire il Papa: ciascuno faccia il suo, ma non dimentichi il resto. Gli altri. La comunità. Insomma: meno egoismo, più ecumenismo. Una rivoluzione, non solo una riforma, perché nei fatti siamo tenacemente conservatori del nostro io, che critichiamo (spesso accademicamente) a parole.

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Non è ancora un penoso trascinarsi, però il governo Letta va avanti col fiato corto. Ha scarsa autonomia, deficitario appeal, nessuna popolarità. Anche i non saputi di cose politiche sanno che quest’esecutivo è di transizione. Di passaggio. Di emergenza. Com’era l’esecutivo Monti, che quando s’insediò godeva tuttavia di più forte apprezzamento. Letta non ha la stessa credibilità, però commette il medesimo errore costato caro a Monti: indulge a un eccessivo ascolto dei partiti. Dovrebbe esercitare una maggiore autonomia, decidere secondo ciò che gli pare il meglio, poi contare le adesioni. Chi ci sta, ci sta. Un presidente del consiglio è tanto più presidente quanto meno s’affida al consiglio. Il consiglio delle botteghe del potere. Diciamo che Letta è al bivio: o si consegna alla cronaca come un mancato leader o alla storia come un leader vero. Chissà. Il pronostico gli è contrario, la speranza non ancora. Raccomandiamoci alla speranza.

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La scorsa domenica Comabbio ha festeggiato un suo cittadino centenario, Giovanni Leva. Il santuario della Vergine del Rosario era affollato di fedeli, riconoscenti verso un uomo buono. Generoso. Caritatevole. Un uomo che la natura ha dotato di virtù speciali, da lui messe al servizio di chiunque gli chiedesse un sostegno, un aiuto, un conforto. Il popolarismo cristiano apprezza queste figure di ordinaria straordinarietà, ne coglie il tesoro che rappresentano, le custodisce con passione, addita l’esempio ai dubbiosi e agl’increduli. Bisogna credere alla nostra ingenuità, non è un peccato. È un’opportunità. Addirittura un dovere, perché chiama a riscoprire il misterioso talento delle origini: sempre grande, di frequente inespresso. La fede è una cosa semplice, per ricordarsene servono i fatti più delle parole. I fatti, cioè i comportamenti. A Comabbio hanno avuto in sorte la grazia d’una persona dal mirabile comportamento. Ne sono consapevoli, e non è un evento frequentissimo, pur se raccomandabile.

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Sull’altra sponda del Lago Maggiore, Verbania ha assistito a una tragedia. Così tragedia da non richiedere aggettivi. Il figlio sedicenne che litiga col padre, i due che si lasciano senza riappacificarsi, il figlio che decide di farla finita. Non ci riesce del tutto, morirà un paio di giorni dopo. Il padre ci riesce subito, e muore prima del figlio. Si sono ritrovati lassù, sicuramente abbracciandosi. Gli era capitato anche quaggiù, tante volte. Ma le vie dell’incomprensione sono molte, spesso spuntano d’improvviso, e senza cartelli indicatori. Bisogna fare attenzione alla toponomastica dell’anima, leggerla e soprattutto capirla. Chiedere, ascoltare, non stancarsi di parlare. Poi il mistero rimane il mistero, e non si può che inchinarvisi. Pregando chi è capace di pregare, e pregando anche chi non è capace. Il dolore accomuna nella preghiera, e non chiede conto di quale tipo di preghiera. La pietà neppure. La misericordia nemmeno. Non dicono a quale santo raccomandarsi: è superfluo.

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