Sabato, Lugano si è svegliata sonnacchiosa e piena di persone, giovani e meno giovani, che sciamano inseguendo un sole che non c’è, nonostante sia primavera già da un pezzo. Stringendo tra le mani una tazzina di caffè poco italiano, nell’ariosa Piazza della Riforma, chiacchiero con Benedicta Froelich, la giovanissima neovincitrice del premio Guido Morselli 2013 e le chiedo dove e come è nato il romanzo su Lawrence d’Arabia, che vedrà presto la luce, grazie alla casa Nuova Editrice Magenta.
Benedicta Froelich ha poco più di trent’anni, il volto pallido di una ragazza del liceo, che ama leggere, e lo stesso giovanile entusiasmo, quando inizia a parlare della sua opera e dell’importanza che Lawrence ha assunto nella sua vita. La ascolto più che incantata, rapita, mentre traccia un affresco della vita dell’eroe d’Arabia assai chiaro e luminoso, in un lavoro di biografia romanzata in cui “la realtà vince il sogno”. Tutti, soprattutto grazie alla famosa pellicola cinematografica del 1962, di David Lean, con Peter O’ Toole e Omar Sharif, sanno chi è Lawrence d’Arabia, lo hanno quantomeno sentito nominare e il fascino della leggenda ha ancora potere di stregare grazie ad un mito che ancora non è stato del tutto svelato. “Doveva esserci un lato più intimo, nel percorso interiore di Lawrence, nel modo in cui lui aveva ad un certo punto dovuto scendere a patti con quello che era stato, con quello che era successo, e in effetti aveva trascorso l’ultimo periodo della sua vita da solo, non riconoscibile come Lawrence d’Arabia”.
Ciò che interessa alla giovane scrittrice italo-ticinese (vive tra Milano e Chiasso) è dunque l’aspetto psicologico, emotivo di una parte della vita, quella finale, di Thomas Edward Lawrence, consumata per tre effimeri mesi, nel cottage di Clouds Hill, ai margini del villaggio di Moreton, nella contea del Dorset, a sud dell’Inghilterra, a pochi passi dalla Manica. Oltre ad essere un atto d’amore nei confronti di un personaggio leggendario, quest’opera è anche un tributo di riconoscenza per gli amici di Lawrence, i vicini di casa, Pat e Joyce Knowles, che si occuparono dell’eroe negli ultimi giorni della sua vita tra l’incidente in moto e la morte e dopo la morte, nella progressiva trasformazione della sua dimora in un museo, custodendone amorevolmente il ricordo, un ricordo intessuto di affetto e ammirazione. Il ciak che ha mosso Benedicta ad affrontare questa avventura letteraria è stato un occhiolino, ovvero quello strizzato da Lawrence al cineoperatore, in uno dei rari spezzoni dell’autentico Lawrence, nel ’19, appena ritornato dall’Arabia, dopo la guerra mentre si trovava di fronte alla macchina da presa accanto ad un famoso editore americano F.N.Doubleday.
“Nel cottage di Clouds Hill smette di espiare, lascia la RAF, dove si era arruolato come soldato semplice con un altro nome, va in congedo, smette di imporsi una vita durissima e massacrante, smette di espiare, si concede uno spazio per sé. In questo cottage era successo qualcosa di straordinario, Lawrence era riuscito ad emanciparsi dal suo dolore”.
Un dolore “che avrebbe potuto ucciderlo” ma da cui il condottiero e l’autore de “I sette pilastri della saggezza” guarisce, negli ultimi mesi della sua vita, secondo Benedicta Froelich, curando l’anima al fuoco salvifico di Clouds Hill.
Un dolore autentico e forte che lo accomuna allo scrittore Guido Morselli e, se le stelle potessero parlare, direbbero che non è una coincidenza il fatto che Lawrence e Morselli siano nati lo stesso giorno, quel ferragosto del 1888 e del 1912.
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