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Politica

CARROCCIO IN DISCESA

MANIGLIO BOTTI - 21/06/2013

Qualche tempo fa – e se non sbaglio proprio a Varese presentando un suo libro sulla storia dell’Europa – l’ex ambasciatore e scrittore Sergio Romano disse che i movimenti ribellistici e rivoluzionari si esauriscono non tanto per il venir meno delle ideologie – anche per quello –, quanto perché le persone che li promuovono o ne fanno parte invecchiano, e a una certa età inevitabilmente si acquietano.

Sarà il caso, per esempio,  della rivolta dell’IRA o dei Paesi baschi o dell’eterno conflitto israelo-palestinese. Da noi tante cose sono cambiate, anche nel modo di pensare, da più di trent’anni a questa parte, rispetto al fenomeno del terrorismo rosso (e nero).

Ma la considerazione è venuta alla mente non avendo come riferimento confronti così seri e tragici, ma pensando piuttosto all’attuale litigio in atto – sembra davvero che sia così – tra esponenti della Lega, ex amici e fondatori, e al declino inesorabile almeno a quanto risulta dal voto del movimento un tempo focoso e lottatore. “La Lega – affermò Bobo Maroni insediandosi con la ramazza alla mano al comando del movimento-partito – tornerà grande”. Bè, non pare che le cose siano andate secondo questi auspici. Del resto, prima che i programmi politici, certamente importanti, occorrerebbe prendere in considerazione le carte di identità: a cominciare proprio dal Bobo di Lozza, che di anni ne ha cinquantotto, e che è un’età in cui – riforma Fornero a parte – si comincia a pensare – soltanto a pensare – al riposino e a nostalgiche serate seduto con gli amici dinanzi all’organo Hammond, specie nel caso di chi ha cominciato a lavorare molto giovane.

Se si va poi a guardare il certificato di nascita  dell’ (ex) padre-padrone della Lega, Umberto Bossi, si legge  “Cassano Magnago 1941”. Per non dire poi che, purtroppo, il fisico un tempo spavaldamente macho appare ormai toccato dalla malattia, e l’Umberto, deuteragonista di questa tragicommedia, più che contro i contestatori e i rivali esterni e interni, da una decina di anni almeno, deve battersi contro altri avversari. Anche in famiglia, forse.

Ma le difficoltà, a bordo del Carroccio, sono diverse. Ancora adesso, a pochi mesi dalle elezioni politiche e dalle regionali, sopravvivono alcuni slogan: macroregione (Piemonte, più Lombardia e Veneto); trattenimento in loco del settantacinque per cento delle tasse pagate – ma risulterebbe che ne resta già il settantadue –; battaglie contro “nuove” politiche immigratorie. Soltanto slogan, appunto. Risultati operativi zero, almeno per ora.

Quando – non ancora a Varese  ma tra qualche tempo succederà – i cittadini (non) sono andati alle urne per dare un posto al sindaco, il simbolino di Alberto da Giussano non è stato nemmeno preso in considerazione, e i consensi sono calati a precipizio.

Avrà un bel dire, il Maroni, che nel futuro sarà “cattivissimo”, probabilmente anche nei riguardi di rivali importanti, molto importanti, però i “leghisti” che sono rimasti a casa e che in cuor loro hanno stracciato la tessera non può rimandarli al seggio, neanche con la frusta.

Perché poi il problema, alle nostre latitudini, non è più nemmeno quello dell’invecchiamento delle persone, ma proprio quello della stanchezza, e della noia.

Quattro mesi – vedasi quanto sta accadendo nel Movimento 5 Stelle – è già un tempo biblico, per noi. In poco tempo i cittadini, gli elettori si stancano delle facce, e tanto più dei proclami e delle chiacchiere, soprattutto se questi o rimangono irrealizzati o si sono persi nel vuoto.

Più di vent’anni – il tempo di un’intera generazione – sono trascorsi da quando Bobo e Umberto – e con loro altri pionieri – scorrazzavano per le strade della provincia lasciando segni e messaggi di rivolta. Non è successo nulla. E anche la provincia non esiste più, o almeno sta per essere abolita.

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