Negli ultimi vent’anni si è verificata una metamorfosi della democrazia che ha sostituito il meccanismo della delega ai partiti e della rappresentanza istituzionale con la presunta efficacia e l’indubbia immediatezza della leadership. Al bisogno diffuso e reale di partecipazione popolare si è risposto con una semplificazione: il rapporto fiduciario, ma mediato dalla televisione, tra il capo “carismatico” e gli elettori. Alle masse rimaste senza forti riferimenti ideali, all’erosione dei rapporti personali tradizionali, alla destrutturazione delle ideologie e dei sistemi di pensiero, alle forme
Indotte di consumismo si è risposto con la figura dell’uomo provvidenziale capace di dialogare con la gente e di venire a capo dei nodi irrisolti della società. È un’idea che va oltre il populismo: il popolo è identificato attraverso i consumi e ha come unico orizzonte il mercato; anche in politica si parla di mercato elettorale. La democrazia è diventata una procedura contabile; invece di produrre buone pratiche di cittadinanza rincorre i desideri, per sviare l’attenzione sulla scomparsa del lavoro e sulla riduzione dello Stato sociale come elemento fondante della coesione comunitaria; la politica asseconda i soggettivismi come surrogati del bene collettivo.
Tra crisi della politica e promozione dei desideri, come la rincorsa al riconoscimento delle coppie omosessuali e persino del matrimonio, il rapporto non è casuale; la politica messa in ginocchio dallo strapotere dell’economia finanziaria cerca di distrarre gli elettori dalla sua impotenza nelle scelte fattuali. La rivoluzione tecnologica si è rovesciata in una incruenta ma effettiva rivoluzione sociale che disgrega la società, frammenta i rapporti interpersonali, fa cadere i riferimenti etici e morali, cambia gli stili di vita. Sull’intreccio tra trasformazione economica, crisi della politica, mutazione antropologica si è poco riflettuto, per esempio sul significato dirompente del “berlusconismo” con la sua logica individualista e consumista, al di là del formale ossequio verso la tradizione cattolica. Il soggettivismo dilagante lacera la nostra cultura, sconvolge la nostra memoria storica, cambia le tradizioni del passato; la democrazia in questi vent’anni è stata quotidianamente svuotata dei suoi contenuti etici e surrettiziamente alimentata dall’implosione dei sentimenti e dei desideri. Tutto ciò che è desiderabile è divenuto lecito anche se non sempre possibile. Nell’Ottocento si diceva che “il Parlamento tutto può tranne che trasformare l’uomo in donna e viceversa”, un’affermazione che oggi suonerebbe blasfema. In questo contesto la rivoluzione sessuale è un tratto della mutazione antropologica; secondo una ricerca inglese “la sessualità è del tutto sconnessa dalle relazioni e dall’esperienza di sé; il porno si è sdoganato nella cultura popolare e la diffusione di Internet ha reso più facile la sua fruizione anche ai ragazzi”. L’educazione sessuale non è più una responsabilità della famiglia, della scuola, della chiesa ma del Web.
Ormai quasi tutti i partiti e molti esponenti istituzionali sono accordo sul fatto che il riconoscimento delle coppie omosessuali è indispensabile per dare attuazione ai diritti civili previsti dalla Costituzione, perché mai? Si afferma che la unioni gay hanno carattere affettivo; ma l’affettività e l’amore non hanno mai richiesto una tutela giuridica.
In particolare l’istituto giuridico del matrimonio, che si vorrebbe estendere prescindendo dalla base fisiologica dei contraenti, non garantisce l’amore coniugale ma la volontà dei coniugi di assumere la responsabilità di una convivenza generazionale. Il richiamo all’affetto è un motivo troppo debole per giustificare la istituzionalizzazione del matrimonio omosessuale.
La convivenza che dura nel tempo è certamente un argomento più consistente, ma allora perché limitarlo soltanto alle coppie gay e non estenderlo anche ad altri tipi di convivenza? Si afferma che tali convivenze “altre” non sono “sessuate”, ma il sesso non aggiunge nulla di essenziale alle convivenze tant’è che vi sono coppie che vogliono restare “libere” e non chiedono alcuna protezione giuridica.
Quella delle unioni gay è una questione simbolica: si vuole dare rilevanza ad un comportamento che è pur sempre minoritario nella società; il simbolo di per sé non legittima gli stili di vita; gli omosessuali forse hanno bisogno, più che di riconoscimento, di vero rispetto verso la loro intrinseca dignità e dell’applicazione del precetto evangelico del “non giudicare”. Ciò non toglie che la legge possa tutelare tutte le convivenze all’interno delle quali vi sono persone bisognose di protezione.
Ma va sgombrato il campo dalla questione ideologica che vi è sottesa: convivenza protetta non vuol dire matrimonio che, in tutti la storia umana e in tutte le culture, ha voluto significare l’unione stabile tra uomo e donna per riprodurre la specie e assicurare continuità alla società. Quando la politica si occupa di problemi eticamente sensibili non può mettere da parte la morale.
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