La Chiesa sta certamente vivendo oggi un momento di particolare grazia e di cambiamenti storici, soprattutto per la presenza di Papa Francesco che ha introdotto modalità di comunicazione della fede nell’esperienza e stili di testimonianza nuovi. Muovendo dal cuore dell’annuncio di Cristo risorto, questo Papa sta mostrando come la comunità cristiana possa essere il motore di una rinnovata umanità capace di affrontare le sfide dell’oggi, il segno di una liberazione dal male e da tutto quanto impedisce all’uomo di essere se stesso. A tre mesi dalla sua elezione, si possono già raccogliere alcuni segni della “rivoluzione Francesco” scoprendone la sostanziale continuità con il pontificato di Benedetto, mettendo in luce una sorta di spostamento della Chiesa dal tradizionale carattere euro-centrico ad una più spiccata dimensione di cattolicità che valorizza gli apporti di tutte le chiese come quella latino-americana di cui Papa Bergoglio è figlio.
Di questa straordinaria opportunità per la Chiesa di aprirsi alla nuova evangelizzazione ha recentemente parlato anche il cardinale Angelo Scola in una intervista rilasciata al quotidiano La Stampa a margine dell’incontro internazionale della Fondazione Oasis svolto a Milano il 17 giugno, usando toni preoccupati per esprimere una situazione di affaticamento culturale e di invecchiamento sociale in cui giace oggi l’Europa a seguito del suo distacco dalle proprie radici cristiane e alla resa alla subalternità nei confronti della cultura laicista. L’analisi del Cardinale è a tutto campo e riguarda sia l’incapacità della vecchia Europa di pensare al futuro in maniera progettuale (anche a causa del tremendo calo demografico e del prevalere di tendenze nichiliste nell’immaginazione del futuro personale e sociale), sia la stessa difficoltà della Chiesa di rinnovare le modalità espressive in cui incarnare il messaggio di salvezza. Ciò che manca – rileva – Scola è una adeguata sintesi culturale che riproponga la fecondità del dialogo tra la certezza della centralità di Cristo e la sua capacità di rispondere alle domande dell’uomo contemporaneo. La secolarizzazione, espressa spesso nel relativismo, pare essere un’obiezione al dialogo tra le religioni e il mondo moderno, e la scomparsa (apparente) delle ideologie sembra appiattire le differenze di una società plurale.
L’arcivescovo ha ben chiaro che non si tratta di adattare il cristianesimo al “mondo”, ma che c’è necessità di tradurre in una testimonianza culturalmente attrezzata quella adesione a Gesù Cristo che singolarmente molti uomini sentono di poter sperimentare. La fede non è mai, infatti, avulsa dalla realtà perché è chiamata a rispondere alle esigenze più normali e quotidiane della vita, avendo una enorme fiducia nella provvidenza ed una capacità di sintesi tra la tradizione del passato e le domande dell’uomo di oggi, dal momento che la fede non è riconducibile soltanto ad una gerarchia di valori morali, ma offre il senso stesso delle relazioni umane attraverso la proposta di comunità vive in cui la Chiesa si realizza.
Il Papa offre in questo senso la testimonianza di un modo di vivere il Vangelo anche nella povertà, che con grande acume il cardinale definisce come capacità di proporzionare i mezzi che si hanno a disposizione al fine che si vuole testimoniare, senza lasciare adito agli equivoci del pauperismo sostenuto negli anni ‘70 dalla teologia della liberazione latino-americana. Nessuna nostalgia dunque per una Chiesa sociologicamente misera, ma il richiamo profondo a ciò che veramente vale, e per questo la ricerca di uno stile sobrio e senza orpelli anche nella quotidiana vita delle nostre comunità. Ciò che l’arcivescovo di Milano sembra aver assimilato di più dall’incontro con Papa Francesco è comunque l’invito ad uscire da un atteggiamento autoreferenziale che condurrebbe la Chiesa semplicemente a difendere se stessa e l’esistente, per uscire da sé in direzione dell’evangelico “campo” che il mondo, secondo la suggestiva immagine che l’Arcivescovo propone come impegno pastorale del futuro. Se la Chiesa non esce da sé, facendo una proposta per tutti gli uomini ed aprendo spazi di confronto con tutti, finisce per ammalarsi e per diventare inutile all’uomo. Occorre invece riconoscere quanto nell’esperienza umana elementare unisce tutti gli uomini, invitandoli a raccontarsi e a confrontarsi, in una situazione di laicità dello Stato che non si identifica con una generica a-confessionalità ma con il rispetto profondo per tutte le posizioni religiose. In questo senso, non volendo certamente ridurre il cristianesimo ad una visione intellettuale della vita, si apre la domanda su quali ragioni rendono significativa la fede, e dunque sulle motivazioni che possono spingere l’uomo europeo, stanco e deluso dalle sue pretese di dominare tutto, a cercare nuovamente il volto di Cristo come risposta esauriente.
L’intervista affronta poi anche altre questioni interne alla Chiesa, e colpisce la profonda sintonia con il Papa nonostante la diversità di temperamento e di formazione che avvicina il Cardinal Scola più allo stile di Benedetto XVI, mostrando in maniera inequivocabile che la Chiesa è luogo creato da Dio e non un’assemblea fondato sul consenso dei suoi rappresentanti. Per questo ogni vescovo è il primo chiamato a ”seguire”, testimoniando la direzione e la prospettiva in cui la Chiesa deve porsi per fecondare la storia umana verso il Bene.
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