“A me m’ha rovinato la guera… Se non c’era la guera io stavo a Londra”. Prendendo lo spunto dal noto tormentone in dialetto romanesco di un personaggio degli anni Trenta portato sulle scene dal comico Ettore Petrolini si potrebbe dire che a rallentare la carriera di due grandi della musica leggera italiana – Gianni Morandi e Rita Pavone – se non fu la guerra, che per fortuna da noi era finita da un pezzo, fu invece il Sessantotto, che in qualche modo per i giovani rappresentava una rivoluzione sociale.
Il mutamento delle esigenze, e dei sogni, nel giro di pochi anni (erano già i tempi del beat e dei complessi) aveva anche trasformato le mode e i gusti musicali così da mettere in crisi due artisti che fino a poco tempo prima erano stati due beniamini del pubblico adolescente: Giberna – Gianni Morandi e Pel di Carota – Rita Pavone.
I due vanno associati perché proprio insieme s’erano affermati, non ancora diciottenni, in una trasmissione TV che ha fatto la storia: “Alta pressione” . In programma sulla neonata rete RAI2, diretta da Enzo Trapani e presentata da Renata Mauro, “Alta pressione” per i ragazzi di allora era una sorta di vangelo. Ancora oggi la TV ne ripropone spezzoni. Famosa la sequenza di Gianni che solleva tra le braccia Rita tra un nugolo di teenager plaudenti. E due anche le canzoni che, in quell’epoca, furoreggiavano nei juke-box: “Andavo a cento all’ora”, per Gianni, e “La partita di pallone” per Rita. Qualche mese dopo Rita Pavone – nell’inverno del 1962 sul 1963 – era uno dei personaggi-cardine della trasmissione televisiva del sabato sera, “Studio Uno”. È difficile spiegarlo a un ragazzo di oggi, ma per la “piccola” e squillante Rita che presto avrebbe fatto la sua comparsa settimanale sul piccolo schermo l’attesa cominciava fin dalle ore pomeridiane del sabato. E fu in quel periodo che Rita lanciò alcuni dei motivi che l’hanno resa famosa: “Come te non c’è nessuno”, “Alla mia età”. E poi, nell’estate, “Cuore”, cover di “Heart”, un brano che era stato portato al successo dal cantante americano Wayne Newton.
Dischi venduti – stiamo parlando di 45 giri in vinile, costo 750 lire l’uno in quegli anni (oggi una trentina di centesimi di euro) – a milioni. Poco tempo fa venne fatta la seguente domanda in un quiz televisivo: “C’è una cantante italiana che ha venduto in carriera quasi trenta milioni di dischi, che ha avuto due figli e che vive in Svizzera a Lugano…”. Il concorrente rispose Mina – Minona nostra, come la chiamava Alberto Sordi –, la quale pure ha avuto due figli, ha venduto milioni e milioni di dischi e s’è ritirata da tempo nel quieto Canton Ticino. Ma era una domanda trabocchetto. La risposta esatta era Rita Pavone.
Sposatasi – proprio nel ’68 – con il suo Pigmalione e scopritore Teddy Reno, alias Ferruccio Merk Ricordi, di diciannove anni più grande di lei, eccellente cantante degli anni Quaranta e Cinquanta, Rita era a tutti gli effetti una babyboomer, cioè era nata alla fine della seconda guerra mondiale ed era perciò una figlia del boom economico e dell’Italia che rinasceva dopo la tragica sconfitta. Figlia di operai, a Torino, era ella stessa una “caterinetta”, una “picinina”, ovvero una ragazzina subito impegnata – siamo alla fine degli anni Cinquanta – nel lavoro in una sartoria. Sognava di diventare una cantante. Le biografie, anche per il coequipier Gianni Morandi, che navigava nello stesso milieu sociale, sono piene di aneddoti.
Poi la TV fece il resto. Dopo i fasti di “Alta pressione” e di “Studio Uno”, nel 1965, ci fu un’altra trasmissione clou: “Stasera Rita”. È passata alla storia perché tra i ragazzi dello ye-ye che introducevano ballando l’esibizione della cantante – pressappoco tutti di quindici, sedici anni, chiamati i Collettoni per il loro modo di vestire –, figuravano alcuni divenuti poi a loro volta molto famosi, per esempio Loredana Berté e Renato Zero. E, ancora, ci fu il Giamburrasca televisivo, diretto da Lina Wertmuller, in cui Rita faceva la parte del ragazzino ribelle raccontato da Vamba…
Il Sessantotto, s’è detto, cambiò le rotte del gusto. Gianni Morandi dopo poco si iscrisse al Conservatorio per arricchire e perfezionare le sue conoscenze musicali. Rita rinforzò la sua fama all’estero, che un po’declinava in Italia. Negli Usa, in Sudamerica, in Giappone, in Spagna, in Francia e in Germania Rita Pavone padroneggiò la scena ancora per molto tempo. Ma da noi non riuscì a riacciuffare gli straordinari successi – da fenomeno di costume più che da cantante – nemmeno approdando al Festival di Sanremo, che aveva snobbato nei suoi anni più caldi.
Sarà stata anche la temperie del Sessantotto a frenare l’ascesa, ma forse il successo cominciò ad appannarsi nel momento in cui la “ragazzina” Rita diventava signora coniugata e mamma. Il tempo corre e fugge.
Ai giovani di oggi – è presumibile – il personaggio Rita non dice più nulla. E soltanto i ragazzi di allora possono capire quale sia stata la portata del fenomeno, e del mito. Eppure, a ben vedere, Rita è stata straordinaria, e anche anticipatrice di certe ribellioni che in seguito l’hanno trascurata. Senza di lei, che faceva da contraltare, probabilmente non ci sarebbero state Mina, Gigliola Cinquetti, Caterina Caselli. E nemmeno le tardo-contestatrici Caterina Caselli, Loredana Bertè, Donatella Rettore, Anna Oxa… E per quanto riguarda i successi all’estero, precedette una grande e affermata cantante di oggi come Laura Pausini. ”Sul palcoscenico – ha scritto di lei Nicola Sisto, giornalista specializzato nella storia degli anni Sessanta, collaboratore di Gino Castaldo e di Renzo Arbore per il Dizionario della musica leggera italiana – contravveniva puntualmente a tutte le etichette… Da qualsiasi parte la si prendesse era comunque un pugno nello stomaco per i benpensanti: anche l’incosciente espressione di una moda tutt’altro che pericolosa poteva servire a dare qualche energico scossone”.
Poi tutto cambia, è vero. Matura e, in un certo senso, si acquieta. E degli anni dello ye-ye, prima delle rivolte o pseudo tali, restano soltanto i ricordi.
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