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Cara Varese

IL FLOP SANITARIO

PIERFAUSTO VEDANI - 07/06/2013

Il “monoblocco” del Circolo

Negli Anni 80 sembrava fattibile il rinnovamento di un ospedale che era incamminato verso il secolo di vita. Trascinati da un presidente che, sornione e vigile come un gatto, arrivava a controllare pure l’orario di ingresso dei primari, i vertici del “Circolo” avevano gettato le basi per una struttura sanitaria d’avanguardia. Sogni, propositi, viaggi di studio anche all’estero, progetti: non se ne fece nulla anche a causa del turbine di Tangentopoli che bloccò tutte le iniziative.

Quando, anni dopo, arrivò il finanziamento per un nuovo ospedale, a Varese si perse la testa: temendo di vedersi soffiare i soldi se non impiegati immediatamente, ci si buttò sull’ipotesi del monoblocco all’interno della vecchia sede. Un errore micidiale sotto il profilo sanitario perché sarebbe stato impedito nel tempo un adeguato sviluppo di un ospedale già legato all’attività universitaria; un inaccettabile autogol urbanistico perché sarebbe stata peggiorata la già precaria situazione della zona, infine un pessimo affare finanziario perché la grande area del vecchio comparto ospedaliero poteva costituire un vero tesoretto in termini di destinazione e di vendita. Ma ci fu un errore etico incommensurabile: si negò ai varesini la possibilità di farsi da soli l’ospedale: progetti e lavori andarono infatti ad altri competitori.

Alla colossale dormita dei responsabili (??) della sanità lombarda e cittadina si associarono immediatamente le istituzioni civiche: infatti nei piani della città futura non si ipotizzava ancora un possibile trasferimento in periferia dell’ospedale, per esempio a Bizzozero, oggi sede universitaria grazie alla sensibilità e alla lungimiranza della Provincia.

Accadde poi che il nuovo monoblocco esercitasse uno strano fascino: sembrò, se non a tutti certamente a troppa gente, tecnici compresi, che si fosse finalmente arrivati alla soluzione di tutti i problemi. Era invece l’inizio di una lenta erosione della vecchia buona qualità del servizio offerto alla comunità. E ci sono voluti pochi anni per dimezzare i posti letto del vecchio ospedale, per avere problemi di operatività in parecchi reparti, per non dare al territorio quel servizio che ci si aspettava. La sanità gestita con criteri industriali si è rivelata un flop nonostante l’impegno di uomini e donne dell’intero apparato.

Oggi al “Circolo” per i quattro mesi estivi abbiamo altri cento posti in meno per curare gli ammalati, si negano o rinviano ricoveri, si riduce l’attività delle sale operatorie perché una strumentista è assente per maternità, si manda a morire lontano da casa la nostra gente. Siamo all’ospedalino di provincia e ci sono degli illusi che credono di poter realizzare a Varese un Del Ponte superstar nazionale per la cura dei bimbi.

Sotto accusa non ci sono le persone che oggi devono gestire questa situazione, ma il sistema in sé. Per il quale a causa della sua disumanità è arrivato il momento della sconfitta sul campo: una macchia per chi per anni ha spacciato la Lombardia della sanità come un ineguagliato modello. Una sconfitta che rischia di diventare un dramma se procedendo di questo passo di fatto non saranno più tutelati i cittadini. Lo so, c’è la grande crisi nazionale, le aziende sanitarie sono impegnate allo spasimo, ma resterà sempre la vergogna di un fallimento programmatico, gestionale e politico particolarmente doloroso per Varese che ha sempre dato moltissimo alla sanità pubblica, mai privilegiando quella privata.

Ci sono i posti di lavoro come massima urgenza regionale, ma a Varese il massacro dei posti letto per gli ammalati è inaccettabile. Il problema viene da lontano, è una eredità difficile anche per Roberto Maroni.

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