Svegliarsi a Puno, per un mese, sull’altopiano peruviano, sotto coperte pesanti e in una cameretta con vista sul lago Titikaka. Senza rumori, in pace, come ero abituato nella mia casa varesina.
Puno, a differenza di Lima, mi ha ricordato la mia città. Quasi lo stesso numero di abitanti, piccole strade pedonali, la cattedrale con i piccioni che l’hanno eletta a residenza stabile, qualche ristorantino, i saluti e i sorrisi tra i vecchi che chiedono come sta lo zio di Giovannino (Juanito), che ovviamente tutti conoscono… L’inglese, il quechua e l’aymara come seconde lingue, i mototaxi, le pollere delle cholite (le grandi gonne colorate delle donne…).
Ma al contrario di Varese, Puno è molto abituata ai turisti che popolano copiosamente le vie del centro durante l’intera giornata, preparando gite sul lago navigabile più alto al mondo – quattromila metri – o il prossimo spostamento verso la Bolivia, e la città della Signora della Pace. Puno è costruita quasi tutta in salita, sulle pendici di una collina che termina direttamente nel lago. Quindi durante la giornata si effettuano parecchi saliscendi. Si fatica anche a camminare sui marciapiedi che sono minuscoli ma considerevole altezza. E quando si incrocia un altro passante, per riuscire a passare incolumi, bisogna intraprendere giochi di equilibrio, altrimenti il rischio è di finire direttamente in mezzo alla strada.
Il giovedì un grande mercato invade le stradine vicine al lago. Si chiama Baratillo (baratto economico, a buon prezzo) e vi si può trovare qualsiasi cosa. Pentole per la casa di seconda mano, vestiti usati da grassi signori occidentali, scarpe, distese di diversi tipi di patate, dvd, sacchi a pelo, cravatte, pile, stringhe, cellulari, piatti di pasta e carne e altro ancora. Un grande centro commerciale a cielo aperto di cose nuove e usate per soddisfare ogni esigenza e per trovare abiti vintage da fare invidia a Camden Town.
Come a Varese gli stranieri vengono trattati con una certa indifferenza. La gente dell’altopiano è un po’ chiusa, un po’ fredda ma dopo una breve spiegazione del perché ci troviamo qui, e che non siamo solo di passaggio, un sorriso sul viso appare quasi sempre.
La sera la città non offre tanto. Qualche baretto con musica dal vivo, qualche discoteca per turisti, qualche discoteca più truce per i ragazzi del luogo, una birra tra amici e un gelato nella via pedonale, proprio come nella città più piovosa d’Italia.
Le passeggiate al lago non si possono confrontare per ovvie ragioni, anche se purtroppo il livello di inquinamento del lago mezzo peruviano e mezzo boliviano ha portato alla mente i ricordi di infanzia, quando le rive del lago varesino erano spesso la tomba di pesci.
La notte il traffico è inesistente. E pochi camminano per le strade. Mai ci si sente in pericolo o insidiati dalle auto, come capita invece in alcuni quartieri della capitale. Nel campetto sportivo vicino a casa c’è sempre qualcuno che gioca, che sia una partitella di calcio o una sfida familiare a basket. I puneñi effettuano ogni sforzo e ogni scatto senza alcuna difficoltà. Ma per noi, cimentarsi in due tiri a canestro è un guaio. Nel giro di dieci secondi brucia la gola e non si sentono più le gambe. Problemi di altura e di ossigeno.
Di nuovo nella città dei Re, a Lima, vieni accolto dal caldo e dall’afa, dal solito traffico congestionato e dalla impazienza caratteristica dei limeñi, dal suono deelle sirene delle ambulanze e degli allarmi. Il caos ti travolge. Di nuovo per strada ti devi muovere con accortezza, se non vuoi finire arrotato o arpionato. E si torna a dormire coperti da un lunzuolo di carta velina.
Per spostarsi da un quartiere all’altro, se si decide di non rimanere nei quartieri centrali (San Isidro, Miraflores, Barranco), ci vuole sempre – come minimo – un’ora. Lima, città di nove milioni di abitanti, non è dotata di una metropolitana e il trasporto urbano è affidato alle combi (pulmini privati) che rendono le strade una vera e proprio jungla. Non esistono fermate, a parte alcuni rari paraderi, e non esistono rotte prestabilite, senza contare che sui pulmini latitano anche sedili comodi. Si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di pulmini prelevati direttamente dagli anni Settanta e Ottanta.
Però come in tutte le grandi città i risvolti positivi sono tanti. In un giorno puoi visitare quattro mostre d’arte, e tutto gratis. Una mostra serigrafica, una di fotografie sulla situazione ambientale di alcune minoranze nel mondo, una di pittura contemporanea e una mostra per il centenario dalla prima produzione di Pisco (la bevanda alcolica peruviana per eccellenza).
Tutte le sere, i vari centri culturali dislocati per la città pullulano di cineforum.
Ormai sono passati quasi cinque mesi di vita… metropolitana e dopo uno spaesamento iniziale si incominciano a scoprire locali e posti simpatici dove poter prender un caffè o un mate di coca e rilassarsi chiacchierando con gente di tutto il mondo, viaggiatori e no.
Barranco, il quartiere bohémien, con le sue strade in stile europeo, i muri colorati, le vecchie case coloniali ben mantenute, la street-art e la musica dal vivo è davvero il luogo più adatto per poter passare il fine settimana.
Ora siamo all’inizio dell’inverno e il sole a poco a poco sta scomparendo dal cielo non riuscendo più a fare capolino nella fitta nebbiolina. Ci hanno preannunciato mesi di grigiore, a cui sono sfortunatamente sono già abituato dopo aver vissuto tra Milano e Varese, e così ci hanno consigliato di trovare rifugi, posti dove staccare e sentirsi un po’ a casa. E per fortuna non mancano.
Nel quartiere è confortevole l’essere conosciuti e riconosciuti da tutti. È come avere costituito una nuova famiglia eterogenea: la ragazza con un dente solo a ogni fermata d’autobus della lavanderia, il fruttivendolo sotto casa nonché amico fidato per informazioni sugli spostamenti e qualsiasi altra necessità, i proprietari del ristorante vegano dove si può andare tutti i giorni, la ragazza venditrice di birra. Ed è stato bello vedere come, dopo un mese trascorso a Puno, fossi mancato ai più, e tutti fossero preoccupati per un mio ritorno non annunciato in patria.
Ma c’è una cosa che accomuna Lima e Puno, una cosa di cui già sentirò la mancanza una volta tornato in Italia: il venditore ambulante. In tutte le strade a qualsiasi ora del giorno e della notte le strade sono la casa di migliaia di venditori ambulanti che offrono qualsiasi tipo di cibo: succhi di frutta appena spremuta, frittelle, torte di tutti i tipi, carne e patatine fritte, biscotti di quinoa, frutta esotica, panini farciti al volo per ogni gusto e necessità. Sia che ci si trovi su un pullman, un taxi o per strada a piedi, si viene bombardati da queste offerte e dalle loro declamazioni ripetitive, varie e originali.
Si mangia spesso in Perù. Si spizzica. E forse anche per questo tanti peruviani sono belli e rotondetti.
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