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Chiesa

IL RADICALE DEL VANGELO

LIVIO GHIRINGHELLI - 31/05/2013

Nel corso del Concilio Vaticano II cinquecento vescovi firmarono il cosiddetto Patto delle Catacombe, recentemente ripubblicato sulla rivista “Il Regno”. Non si presentava come un atto di accusa, bensì come la promessa di un atteggiamento e di un costume di vita concreto sul fondamento di tredici punti. Semplice il linguaggio, senza pretesa d’eroismo o di edificazione. Al primo punto l’impegno dei vescovi a cercare di “vivere secondo il livello di vita ordinario delle nostre popolazioni per quel che riguarda l’abitazione, il cibo, i mezzi di comunicazione e tutto ciò che vi è connesso”. Seguono misure per quanto attiene alla gestione del denaro, al vestiario, alle insegne e titoli onorifici, alle proprietà personali e della diocesi. Servire e condividere i criteri per la connotazione. L’apertura a tutti, l’accoglienza, l’umiltà, la semplicità, l’attenzione prioritaria per i poveri, quale manifestazione più alta della consonanza col precetto divino, risentivano di quella eccezionale temperie.

Ecco perché, nonostante contraddizioni, resistenze, trionfalismi e fasti sopravvissuti, a distanza di cinquant’anni, in cui non sono mancate, anzi, molteplici testimonianze di questa ispirazione, la Chiesa ripropone con Papa Francesco tali motivi e stili di vita, causa di meraviglia per molti, segno d’eterna vitalità dell’organismo ecclesiastico per gli uomini di fede.

Nutrito della miglior lezione del Concilio “don” Tonino Bello, così si faceva chiamare, nato ad Alessano il 18 marzo1935 e deceduto a Molfetta il 20 aprile 1993, assistente di monsignor Ruotolo durante l’assise ecumenica, vescovo di Molfetta, Ruvo, Terlizzi, Giovinazzo dal 1982, ha anticipato per stile e concezione della Chiesa Papa Francesco. Gli è rimasto l’appellativo di vescovo del grembiule: “Per la nostra ordinazione sacerdotale le suore del paese e gli amici ci hanno regalato una cotta, una stola ricamata in oro, ma nessuno ci ha regalato un grembiule, un asciugatoio. Eppure, è questo l’unico paramento sacerdotale ricordato nel Vangelo. Gesù prese un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi, versata dell’acqua in un catino, cominciò a lavare i piedi dei discepoli”. “Sarebbe bello che nel cerimoniale nuovo si donasse al Vescovo una brocca, un catino e un asciugatoio. Per lavare i piedi al mondo, senza chiedere come contropartita che creda in Dio. Tu, Chiesa, lava i piedi al mondo e poi lascia fare: lo Spirito di Dio condurrà i viandanti dove vuole”. Rifiutava l’appellativo di eccellenza.

Vicerettore del Seminario a Ugento, indi parroco a Trifase, ha riscoperto la vocazione missionaria della Parrocchia. Invitava i giovani a non avere mai paura d’essere carichi di utopie, li faceva sentire unici e importanti, faceva loro presente che davanti a una persona non si discute, ma la si accoglie. Come vescovo lasciava che il suo umile e modesto appartamento venisse invaso dai senza tetto, dagli sfrattati e dai migranti. Si adornava di un pastorale e di una croce di legno d’ulivo. Gli operai delle acciaierie di Giovinazzo come i tossicodipendenti trovavano in lui ascolto amorevole, confortava preti anziani e ammalati, praticava la convivialità delle differenze. In una “Lettera al fratello marocchino”: “Perdonaci, se noi cristiani non ti diamo neppure l’ospitalità della soglia”. Vuole anche una piccola moschea per i fratelli musulmani. La sua interpretazione del Vangelo era radicale, non viziata d’ideologia; era sine glossa e sine modo.

Curioso del mondo, avido di bellezza, senza alcun istinto di possesso, ambientalista, mite, con un sorriso disarmante e al contempo uomo di sicura dottrina (licenza in Sacra Teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, tesi dottorale presso la Pontificia Università Lateranense sui “congressi eucaristici e il loro significato teologico e pastorale”), era convinto del principio che la carità religiosa deve anche tradursi in carità politica e impegno civile. Quale Presidente di Pax Christi (dal 1985) si è scontrato con parecchi uomini politici e le remore dei benpensanti e i sospetti di certi ambienti curiali contro l’installazione degli F16 in Puglia, degli Jupiter a Gioia del Colle, intervenendo contro la Guerra del Golfo. Soprattutto memorabile la marcia pacifica dei 500 a Sarajevo (dicembre 1992), di cui è stato ispiratore e guida, già consumato dal cancro, in isfida ai cecchini. Nel suo discorso al cinema della città la profezia: in nome di una grande idea, la non violenza attiva, siamo venuti a portare un germe che un giorno fiorirà: gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati.

La causa di beatificazione, avviata nel 2008, è pervenuta alla conclusione nella fase diocesana. La Chiesa della prossimità, del servizio, lontana dalla logica del potere, si appresta a salutare ufficialmente, si spera in tempi brevi, tra i suoi campioni questo apostolo della parresia, nemico della prudenza mondana, che sapeva vedere nei poveri, negli ultimi, le basiliche maggiori.

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