Il PD fino a pochissimo tempo fa era in fiamme. Nell’ordine: Franco Marini bruciato, Romano Prodi bruciato, Pierluigi Bersani bruciato come segretario e come candidato premier.
Ora le fiamme si stanno spegnendo e Gugliemo Epifani può fare un buon lavoro. Moltissimo dipenderà però dai risultati concreti che otterrà il governo Letta nei primi cinque/sei mesi. Se saranno insufficienti l’incendio divamperà ancora.
Assolutamente cruciale sarà il prossimo congresso, straordinario sotto mille aspetti. Dovrà essere trasparente e aperto anche agli elettori. Ma non basta. È indispensabile che scendano in campo gli uomini migliori con proposte nette e alternative se si vuole ritrovare una forte sintonia con il Paese.
Con una premessa. È da difendere lo spirito della “contaminazione delle culture” confluite nel PD ma è da condannare la logica della spartizione del potere fra le varie tradizioni come modalità di convivenza.
Quali progetti e quali strategie? Non c’è più la Ditta da tutelare, concetto che oggi trasmetterebbe un fastidioso senso di angustia. Via la paura del nemico a sinistra, il zig zag del dopo elezioni, le polemiche astratte sulla socialdemocrazia.
C’è uno spazio da riconquistare come PD senza badare troppo alle alleanze. Basta con la parola magica del cambiamento se non si spiega di che cosa si tratta, se non si dice che non può essere soltanto generazionale ma di mentalità, di classe dirigente, di meritocrazia, di approccio concreto ai problemi.
Oggi non si può dichiarare “al centro il lavoro” se non si aggiunge “al centro l’impresa”, se non si equiparano nella considerazione e nella stima sociale lavoratori, imprenditori piccoli e medi, professionisti. Solo la rendita e la finanza d’avventura non possono entrare fra i soggetti rappresentati da una sinistra moderna.
Si invoca per il PD una nuova “forma di partito”. Ma c’è una domanda preliminare. Mantenere unite o separare le figure del leader del PD e del candidato premier? Si sta marciando verso due figure diverse. Teorizzare questa opzione cambiando in via permanente lo Statuto, mi sembra una mossa azzardata. Se ne discuta apertamente e decida il congresso.
In questo momento, la crisi dell’impianto istituzionale deve far parte della nostra riflessione. Chi è a favore e chi è contro l’intangibilità della Costituzione? Io sono per cambiarla nella seconda parte. Non basta dire: una sola Camera e il dimezzamento dei parlamentari. Non troverete nessuno che a parole sia contrario, però non si procede.
Il Senato delle Autonomie ha senso se si vuole il sistema istituzionale basato su Regioni e su Comuni forti con l’abolizione totale delle Province, come non si è fatto l’anno scorso per volontà dei partiti (PD in testa), salvo poi addebitare ingiustamente l’aborto di quella riforma all’Esecutivo Monti. È davvero questa la strada come spero?
Sullo sfondo si staglia la domanda ormai ineludibile. Mantenere questa forma di governo con un rafforzamento del premierato o puntare sul sistema semi-presidenziale francese?
Da qui discende la scelta finale sul sistema elettorale di tipo tedesco o di tipo francese.
Sono soltanto alcuni dei nodi che i candidati alla leadership dovrebbero tagliare con la spada prima delle eventuali elezioni anticipate. Per non vedere ancora Berlusconi a Palazzo Chigi, o Grillo al trenta per cento e oltre.
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