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Società

IL PRETE CHE ODORAVA DI PECORA

FRANCO GIANNANTONI - 31/05/2013

È inutile raccontare chi era don Andrea Gallo. Lo sanno quasi tutti anche se alcuni fanno finta di niente. Ad esempio l’Avvenire, il giornale dei vescovi, che giovedì al prete genovese, quello che il cardinale Siri aveva punito mandandolo via dalla chiesa del Carmine dove era vice-parroco e in cui è tornato da morto, che il cardinale Bertone aveva richiamato all’ordine e che ora il cardinale Bagnasco, celebrandone il tragitto terreno si è beccato anche un po’ di fischi (ma come Siri padre e benefattore!) ha dedicato (che tristezza!) cinque povere colonnine a pagina 13 con poche righe di commento che davano più l’impressione di condanna che di pietas. Riassumo: bravo, vicino ai poveri ma fuori linea, con idee “squinternate e faziose”, “un po’ vanitoso”. Un rompiballe in pratica da tenere alla larga un po’ come quel don Andrea Gaggero, genovese pure lui, deportato ad Auschwitz, fondatore con Aldo Capitini della Perugia-Assisi che sempre Siri mandò in quanto “partigiano della pace” (un comunista!) davanti a quel Sant’Uffizio che fece il suo mestiere. Venne ridotto allo stato laicale senza però essergli tolta la voce. Infatti don Gaggero “vestio da omo” (titolo del suo straordinario libro testimonianza) continuò a operare per il bene della comunità a cominciare da quella operaia di Sestri Ponente.

Papa Bergoglio in uno dei suoi primi discorsi alla folla di piazza San Pietro aveva invitato i sacerdoti-pastori a praticare le periferie, a raccontare il Vangelo ai più emarginati e lontani, a gettare anelli d’oro e paramenti preziosi (lui che calza scarponi neri e non raffinate babbucce damascate) aggiungendo che “mi pare che Gesù non avesse una banca” alludendo allo IOR, luogo di pericolosi intrecci, grande snodo di scandali fin dai tempi del vescovo americano Marcinkus, il padre-padrone dell’istituto di creduto colluso con la mafia criminale dell’alta finanza.

Poi il Papa aveva spiegato, sempre rivolto a preti-pastori, che avrebbero dovuto “odorare di pecore”. Il riferimento era alla pratica sacerdotale, quella che non deve perseguire l’adulazione dei potenti, dei ladri, dei corrotti ma deve educare, amare, rasserenare gli ultimi, i poveri cristi, sporchi, affamati, disperati, i drogati, le prostitute, gli alcolizzati. Il prete-pastore non doveva essere un castrato angelicato ma un consolatore che conosce carne, ossa, sangue, del suo gregge parrocchiano.

Credo, ma sono pronto ad essere smentito, che don Andrea Gallo l’odore di pecora ce l’avesse addosso in dosi massicce. Che ne fosse un modello, il modello. Che poi l’Avvenire se lo sia dimenticato, fatti suoi, a conferma come possa ancora essere aspro il contrasto finale fra le due Chiese in cui si sta dividendo il popolo dei fedeli.

Un po’ come quel giovinastro che anni fa menava il manganello per la Capitale con i suoi camerati (ora ben sistemati dopo brillanti carriere) e che in questo sfortunato Paese è diventato, mercé Berlusconi, un protagonista della casta parlamentare, quell’ex-ministro di nome Gasparri che, a chi gli ha chiesto chi mai fosse don Gallo, ha usato commenti feroci come di un “cattivo maestro” da mettere al’indice che aveva condotto i suoi fedeli al disastro!

Don Gallo, a pieno titolo anche partigiano di quella Resistenza che in Liguria fu gloriosa, iscritto all’ANPI, che nella sua povera chiesa amava far cantare “Bella Ciao”, sulla bara sabato scorso aveva due cose semplici. Bellissime. Importanti. Il Vangelo e la Costituzione. Due stelle comete che ha servito e onorato. Dimenticavo: aveva il cappellaccio nero e la maglia del “Genoa Football and Cricket Club”, simbolo anche questo – lo diceva sorridendo – della squadra degli ultimi.

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