Nella seconda metà di maggio, come è ormai tradizione, l’industria italiana in generale e varesina in particolare si guarda allo specchio e cerca di delineare le strade per affrontare i problemi e mettere a punto le soluzioni. Anche quest’anno prima a Roma, con l’assemblea della Confindustria, e poi a Varese, con l’assemblea dell’Unione degli industriali della provincia (che si è svolta a MalpensaFiere) gli imprenditori hanno fatto il punto su una situazione che resta complessivamente critica cercando tuttavia di dare anche qualche segnale di fiducia, se non di ottimismo.
Certo al primo posto ci sono state le richieste di una politica a favore delle imprese con una riduzione del peso fiscale, una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, un miglior funzionamento della giustizia civile, una più aperta collaborazione da parte delle banche. Ma è stato ribadito che la base di partenza resta solida e ha tutte le potenzialità per dare sostanza alla crescita e soprattutto alla creazione di nuovi posti di lavoro.
Il presidente dell’Univa, Giovanni Brugnoli, ha per esempio sottolineato con forza come “l’immagine del made in Italy - inteso come capacità, creatività, tecnologia, qualità dei prodotti nei campi più disparati – resta ancora molto alta ed è un sicuro fattore di successo per gran parte dei nostri beni. Uno dei pochi dati positivi della congiuntura è stata la crescita dell’export, una crescita che ha permesso di attenuare gli effetti dirompenti del crollo della domanda interna. E, lasciatemelo dire, la provincia di Varese non è stata da meno. Anzi!”. E alla stessa assemblea il prof. Marco Fortis, vice-presidente della Fondazione Edison ha sottolineato come vadano superati i tradizionali parametri negativi con cui si guarda all’economia e ai conti pubblici italiani: “L’industria italiana – ha sottolineato Fortis – ha dimostrato negli ultimi anni una grande capacità di entrare nei nuovi mercati emergenti e in molti settori è riuscita anche a battere la forte concorrenza della Germania.”
Lo stesso presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha ribadito a Varese un concetto già espresso nell’assise romana quasi rispondendo a chi rimprovera gli imprenditori di aver sempre qualcosa da chiedere e di continuare a lamentarsi. “Considerando le condizioni in cui siamo costretti a lavorare – ha affermato Squinzi – se siamo ancora il secondo paese manifatturiero d’Europa, l’ottavo del mondo, forse lamentarci non è la nostra principale attività. Contribuiamo per quasi il 18% al PIL, l’export della manifattura vale circa cinquecento miliardi di euro l’anno, le nostre imprese lottano su mercati sempre più difficili e reagiscono alle sfide con l’innovazione, guardano a nuovi clienti e studiano nuovi prodotti per nuovi consumatori. Molte delle nostre imprese, le medie e piccole, le multinazionali tascabili, i campioni nazionali nascosti, non emergono nelle statistiche sull’innovazione e la ricerca, ma vi si applicano giorno dopo giorno con risultati straordinari sui mercati di tutto il mondo”.
L’industria italiana per molti aspetti sa giocare il proprio ruolo in mercati sempre più competitivi e dove l’innovazione gioca un ruolo fondamentale. Il made in Italy è ancora una carta vincente nell’alimentare, nella meccanica, nei beni strumentali, nella chimica, nel medicale, nell’aerospazio.
È quindi una realtà a due volti quella che contraddistingue l’economia italiana in questo momento. A grandi difficoltà sul fronte della politica, che non sembra riuscire a dar vita ai cambiamenti necessari ad aiutare le imprese, a crescere e a creare posti di lavoro, si contrappone una dinamica imprenditoriale che cerca tutte le strade possibili, e quella dell’export è la principale, per mantenere aperta la strada dello sviluppo. La speranza è che alle esportazioni si aggiunga anche qualche segnale sul fronte interno che possa rimettere in moto il circolo virtuoso dell’economia: più produzione, più redditi, più consumi, più posti di lavoro.
Resta sullo sfondo la volontà, espressa a Roma anche dal premier Enrico Letta, di consolidare la struttura industriale e manifatturiera italiana. La creazione di ricchezza e quindi l’avvio per la soluzione di tanti problemi (dai conti pubblici all’occupazione) passa da una ritrovata dinamica imprenditoriale. Le possibilità ci sono. Anche se continua ad esserci, soprattutto sul fronte “pubblico”, chi rema contro.
You must be logged in to post a comment Login