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Lettera da Roma

QUEL VIAGGIO IN SIRIA

PAOLO CREMONESI - 24/05/2013

Terminato di mandare in onda al GR1 l’ultimo servizio sulla crisi di Damasco, vado a riprendere gli appunti di un viaggio al seguito di Giovanni Paolo II in terra siriana.

Maggio 2001, pellegrinaggio sulle orme di san Paolo: Grecia, Malta e appunto Damasco. Un Papa ancora in gran forma per il suo novantatreesimo viaggio (ne portò a termine centoquattro)

Dal punto panoramico di Quasiun, la capitale ci apparve subito grandiosa e splendida. Eravamo atterrati da poco più di due ore (grazie alla nostra guida Ayman, le pratiche burocratiche all’aeroporto si risolsero in meno di un’ora – nulla a che fare con le lunghe e defatiganti code di Tel Aviv, Bagdad o Il Cairo) e anziché raggiungere subito l’hotel fu vincente l’idea di uno sguardo a volo d’uccello. Le centinaia di palazzi, le duecentosettanta moschee, le novanta chiese illuminate riempivano nelle prime ore della sera la pianura attraversata dal fiume Barada. Con oltre quattromila anni di storia alle spalle la città di tre milioni di abitanti ci guardava sonnolenta. Le preghiere dei muezzin si intrecciavano con il suono dei clacson di vecchi camion e il vociare di bambini.

Colpiva subito l’aria serena di convivenza tra i milioni di abitanti: sanniti, alatiti, greco ortodossi, melchiti, armeni, maroniti, drusi. “Benvenuto testimone di pace” recitavano i manifesti dedicati all’arrivo dell’ “uomo da Roma vestito di bianco”.

Qui la conversione di Paolo. Qui furono accolti i primi cristiani provenienti da Israele. Qui si parla ancora la lingua usata da Gesù, l’aramaico.

Attraversando il deserto lungo un moderno nastro d’asfalto di centosessanta chilometri arrivammo alle rovine di Palmira. Dopo la sosta obbligata al Bagdad caffè, piccolo punto di ristoro beduino con the alla menta e i consueti oggetti di artigianato, superata una gola tra le montagne apparve improvvisa la “regina del deserto”. Cinquanta ettari addossati a una verdeggiante distesa di palme e ulivi, ci restituiscono una città romana del 120 dopo Cristo. Suntuosi colonnati si alternano a templi e arene perfettamente conservati, Le cronache di questi giorni purtroppo consegnano notizie di bombardamenti e distruzioni anche in queste zone, come è stato per lo stupendo minareto della grande moschea di Aleppo, giudicato patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

E poi la moschee degli Omayyadi a Damasco dove è conservata la testa di Giovanni Battista. Qui Giovanni Paolo II percorse centocinquantasei metri a piedi scalzi. Un gesto forse unico nel dialogo interreligioso con l’Islam. Che ebbi la fortuna di vedere da vicino. Nel gruppo di giornalisti occidentali che attendevano all’ingresso del gigantesco e splendido tempio, fui scambiato, forse per l’abbronzatura, forse per la folta chioma riccia, per un collega siriano e ammesso al ristretto gruppo di accompagnatori dell’Imam e del Papa. Giovanni Paolo II sostò a lungo in devoto silenzio davanti all’urna del precursore del Cristo.

Cos’è oggi la Siria? Non bastano le quotidiane notizie di guerra a spiegarlo. E nemmeno qualche legittimo interrogativo sulla ‘primavera araba’ così prematuramente osannata dai media occidentali. Che Bashar Assad sia un dittatore non v’è dubbio come pure che, nel piccolo, il nostro Ayman fosse a libro paga dei servizi. Resta la constatazione che tutti i conflitti in corso in Medio Oriente hanno come conseguenza la progressiva diminuzione dei cristiani del posto, ponendo fine a secoli di pacifica convivenza. L’Irak insegna.

Sembra di rileggere “La fine dell’Impero” di Fejto, traslocata in altro emisfero del pianeta.

Chiudo libro degli appunti e computer. Domani andrò a versare un mio piccolo obolo alla ONG italiana AVSI che gestisce il campo profughi per siriani al confine con il Libano. E ai francescani della Custodia di Terra Santa che anche in Siria coraggiosamente continuano a testimoniare la dolcezza del Cristo. Altro per ora, oltre a pregare, non posso fare.

Nelle foto: Il minareto della moschea di Aleppo prima e dopo la distruzione

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