Non è la stessa cosa evidentemente ma qualcosa che gli si avvicina per disprezzo e cinismo: se ottant’anni fa, il 10 maggio 1933, nella piazza dell’Opera di Berlino, i nazisti non trovarono di meglio che fare montagne di libri per poi dargli fuoco, celebrando così il pensiero di Hitler che li riteneva “impuri, politicamente sgraditi” o semplicemente “degenerati” (diceva il poeta tedesco Heinrich Heine che “dove si bruciano i libri si bruciano prima o poi gli uomini stessi”), oggi in Italia senza roghi dittatoriali la sensazione è la stessa: a pochi giorni dal proclama del presidente Letta contro i tagli alla cultura (“se ce ne fossero mi dimetterei”, ha detto il 5 maggio), due importanti istituzioni culturali nazionali con sede a Roma hanno denunciato importanti riduzioni di bilancio e di organico. Una febbre che divora il meglio del nostro Paese.
La denuncia riguarda una macchina poderosa. È il sistema che gestisce cinquemila biblioteche. Rischia di fermarsi. Da novanta dipendenti è passato a quarantatre. I fondi da 2,3 milioni sono scesi a 1,3. Il sistema ha in carico qualcosa come dodici milioni di libri.
Dunque non ci sono pire ardenti ma qualcosa che gli si avvicina pericolosamente, un macigno in movimento destinato a polverizzare un patrimonio prezioso. Gli interventi demolitori non riguardano questo governo ma quelli precedenti. Epicentro della crisi due poli basilari: l’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico) e la Biblioteca Nazionale Centrale. Hanno dovuto registrare un taglio del settanta per cento di finanziamenti. Una botta tremenda.
Il rischio di chiusura o di ridimensionamento delle funzioni del sistema bibliotecario, che da Roma si rivolge a tutto il Paese, è elevatissimo. L’ICCU rischia, se non ci fosse un’inversione di tendenza, di fermarsi per mancanza di fondi, paralizzando il Catalogo unico delle Biblioteche italiane, una rete, come detto, con migliaia di strutture periferiche che permette a più di cinque milioni di visitatori l’anno, con punte ogni giorno di duecentocinquantamila contatti, studiosi o semplici lettori, di individuare, via web, in quale biblioteca di quale città. sia presente un libro o un raro documento altrimenti introvabili.
Faccio un esempio per capire la funzione decisiva di questo meccanismo: mesi fa ebbi la necessità di avere un libro scritto nel ’36 dal cappellano militare padre Reginaldo Giuliani. La Biblioteca di Varese non l’aveva, fu trovato in quella di Avellino.
Il catalogo consente di accedere ai dodici milioni di titoli con sessantaquattro milioni di localizzazioni, cinquantadue milioni di ricerche e più di trentacinque milioni di pagine visitate. La direttrice Rossella Caffo dà un giudizio estremo nella sua sinteticità: “il rischio è che il sistema salti e il catalogo finisca off-line cioè non più consultabile via web”. Aggiunge: “con i tagli verrebbe colpito il nostro sistema centrale, l’SBN, che amministra le OPAC con le quali gli utenti possono cercare i libri di cui abbisognano. L’ICCU è già carente di personale, da novanta dipendenti si è scesi oggi a quarantatre. Dei tagli dei fondi si è detto, un milione e tre in meno in cinque anni”.
Il professor Osvaldo Avallone è il direttore della Biblioteca Nazionale, il secondo bersaglio delle improvvide decisioni governative al tempo di Berlusconi. Il quadro è desolante: il personale da trecentonovantotto dipendenti è sceso a duecentodieci. Questo limita fortemente la distribuzione dei testi con l’orario del servizio al pubblico che termina alle 14, 30. Il finanziamento ha fatto un rovinoso salto all’indietro: da tre milioni e novantottomila euro del 2003 si è passati a un milione e duecentocinquanta mila euro di oggi”.
Lo stato del sistema bibliotecario è comatoso. Ogni biblioteca ne è partecipe.
Alla Biblioteca Nazionale di Storia Contemporanea di Roma coi bilanci al lumicino c’è anche la sede dell’SBN dell’ICCU che, secondo la direttrice Simonetta Buttò, ha appena ricevuto la notizia dal Ministero di un ennesimo taglio sui fondi, questa volta del quindici per cento.
Un dramma su cui ha preso posizione, nel silenzio delle istituzioni, la Società per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO) che con il presidente Agostino Giovagnoli si è rivolto al neo Ministro per i Beni e le Attività Culturali Massimo Bray denunciando il deterioramento delle condizioni degli Istituti archivistici e bibliotecari, presaghi della possibile fine. Giovagnoli spende le sue parole per l’Istituto Centrale del Catalogo Unico “fonte indispensabile per ogni studioso di qualsiasi disciplina”. La ricerca, avverte, barcolla, Occorre cambiare rotta e marcia. È necessario “un segnale di discontinuità”. Sinora gli allarmi hanno suonato a vuoto. “Con la cultura non si mangia”, ammoniva dall’alto della sua sapienza il super ministro Tremonti. I segnali di rotolare in fondo a un fosso sono troppi. SISSCO con un solo esempio fa accapponare la pelle invocando una celere politica di “demanializzazione” delle sedi di studio. “È mai possibile – si chiede – che la sola amministrazione archivistica abbia impegnato nel 2011 diciotto milioni dei venticinque di bilancio per pagare gli affitti delle sedi?
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