Durante la campagna elettorale, Pierluigi Bersani aveva promesso che il primo provvedimento del suo governo (perché era sicuro di stravincere le elezioni) sarebbe stato la concessione della cittadinanza italiana a tutti i figli di emigrati nati in Italia, in nome dello Ius soli per applicare il quale, però, bisogna cambiare la legge vigente in materia. Il Ministro per l’Integrazione italo-congolese del nuovo governo, Cécile Kyenge, deve essersi ricordata della promessa fatta dallo smacchiatore di giaguari perché la prima dichiarazione che ha reso alla stampa appena diventata ministro è stata sulla concessione della cittadinanza ai figli degli emigranti. Alla dichiarazione del Ministro Kyenge è scoppiato un putiferio tra le diverse forze politiche ma cerchiamo di procedere con ordine per capirci qualcosa.
Lo Ius nella società latina stava a indicare il diritto in generale dal quale, poi, discendevano i derivati concetti di iustum (giusto) e iustitia (giustizia). Lo Ius soli che ci interessa, per dirlo in parole semplici, è il diritto di cittadinanza che un individuo acquisisce per il solo fatto di essere nato sul suolo di un determinato Paese e si contrappone allo Ius sanguinis che è, invece, il diritto di cittadinanza che si possiede per discendenza o per filiazione. Chiarito un pochino, si spera, cos’è questo Ius soli che Marcello Veneziani, con qualche ragione, ha ribattezzato “Ius sola” (sola uguale fregatura in romanesco), bisogna serenamente accennare agli oggettivi pericoli insiti nell’applicazione del riconoscimento di questo diritto.
Negli anni Settanta le autorità sanitarie inglesi si accorsero che un numero esorbitante di puerpere pachistane e indiane arrivavano negli attrezzatissimi ospedali del loro Paese con la diagnosi di «gravidanza difficile e/o parto a rischio». Poi, si riuscì ad assegnare un nome al virus che rendeva così rischiose le gravidanze delle solitamente toste signore indo-pachistane: Ius soli. In altre parole, gli ex sudditi di Sua Maestà Britannica mandavano le mogli a partorire in Inghilterra per far sì che i loro figli, oltre a quella del Paese di origine, acquisissero anche la cittadinanza inglese perché la legge britannica di quegli anni lo consentiva. Qualche lettore poco informato su questo problema si starà giustamente chiedendo perché soltanto l’ipotesi di concedere la cittadinanza ai figli d’immigrati nati in Italia stia suscitando tale putiferio: in fondo per noi cittadini indigeni cosa cambierebbe? Beh, cambierebbe più di qualcosa, sebbene indirettamente, perché la cittadinanza comporta per lo Stato che la concede l’onere del soddisfacimento di taluni diritti civili e politici. Ne cito soltanto uno: l’obbligo di provvedere alla tutela sociale di un individuo che, paradossalmente, potrebbe maturare tali diritti in Italia e compiere, invece, i suoi doveri civici (tipo il servizio militare) nello Stato originario. Non a caso nel mondo la stragrande maggioranza dei Paesi si attiene allo Ius sanguinis per il riconoscimento della cittadinanza come, peraltro, fa anche l’Italia in base alla legge 5 febbraio 1992, numero 91 che indica il principio della discendenza diretta come unico mezzo di acquisto della cittadinanza. I fautori dello Ius soli sono soliti chiamare a sostegno della propria tesi il fatto che due grandi democrazie come Stati Uniti e Canada riconoscano da sempre tale diritto, omettendo però una piccola precisazione storica: queste due giovani nazioni, per popolare i loro immensi territori dovettero incoraggiare l’immigrazione e, quindi, l’accesso e la permanenza in lande a dir poco desolate, alcune delle quali, in verità, lo sono ancora oggi. Tra l’altro, i fautori dello Ius soli dovrebbero anche dire che gli USA e il Canada fanno parte dello sparuto drappello di nazioni (appena trenta su duecento) che vi s’ispirano e che gli americani, poi, non sono più così tolleranti nei confronti degli immigrati visto che hanno innalzato una rete di sbarramento chilometrica al confine col Messico per impedire l’immigrazione clandestina. Cosa questa che noi in Italia non faremo mai in nome di un umanitarismo che alla fine si rivela falso e pericoloso perché si traduce unicamente nel tollerare la clandestinità con tutti i problemi che ne discendono e la strage compiuta a Milano dall’irregolare ghanese Mada Kabobo ne è un esempio.
Rileviamo che l’approccio più sobrio e corretto col problema in specie, almeno stavolta, è stato quello di Beppe Grillo: «Questa regola può naturalmente essere cambiata, ma solo attraverso un referendum nel quale si spiegano gli effetti di uno ius soli dalla nascita. Una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente. Inoltre, ancor prima del referendum, lo ius soli dovrebbe essere materia di discussione e di concertazione con gli Stati della UE. Chi entra in Italia, infatti, entra in Europa. Dalle dichiarazioni della sinistra che la trionferà (ma sempre a spese degli italiani) non è chiaro quali siano le condizioni che permetterebbero a chi nasce in Italia di diventare ipso facto cittadino italiano>.
Il grosso guaio di noi italiani è che incliniamo a interpretare ogni problema in chiave ideologica perché l’insolitamente sobria e inappuntabile valutazione di Grillo ha innescato inviperite reazioni da più parti. Da Nichi Vendola a Ignazio La Russa, da Livia Turco al redivivo Antonio Di Pietro, da Bobo Craxi al Segretario Generale della CISL, Raffele Bonanni, ognuno ha detto la sua sul tema con accenti diversi e qualche distinguo ma su di un punto si sono ritrovati tutti d’accordo: Grillo è un rozzo razzista. Ma come, voi che mangiate democrazia a colazione, pranzo e cena, date del razzista a una persona soltanto perché si appella a uno dei più grandi strumenti della democrazia, il referendum?
Per quanto a noi le idee di Grillo solitamente non piacciano, non possiamo, tuttavia, non rilevare che le sue esternazioni sul problema della cittadinanza ai figli degli immigrati che nascono in Italia sono state di una modernità incredibile in un Paese che, come i gamberi, ha sempre scelto di camminare a ritroso nella storia. È vero, peraltro, anche quanto affermato in merito da Elvira Savino, deputata del PDL: «Con lo ius soli non si mangia. Chi solleva in continuazione la necessità di una modifica dell’attuale legge sulla cittadinanza – come se questa fosse la soluzione ai problemi del Paese – evidentemente non vede o fa finta di non vedere le reali e drammatiche esigenze dei cittadini». Peccato che Savino abbia omesso, poi, di spiegare chi ha contribuito a rendere «drammatiche» le esigenze dei cittadini ma noi un’idea in proposito l’avremmo…. Ma questa è un’altra storia.
La verità è che la nostra legge sulla cittadinanza è allineata a quelle della stragrande maggioranza delle nazioni esistenti sul globo terracqueo. È soltanto la demagogia che spinge i nostri governanti – che ormai non hanno più niente di concreto da offrire agli amministrati – a far finta di accapigliarsi su di un problema che gli italiani sentono come estraneo alle loro problematiche, anzi lo percepiscono come una minaccia capace di aggravarle, semmai, le loro problematiche! Essi sono interessati, in realtà, a sapere se dovranno pagare ancora l’IMU, se sarà abbassata l’IVA, se saranno facilitate le assunzioni dei loro figli e se saranno introdotte nuove tasse o no. Peraltro, discettare di matrimoni gay, di libero spinello e di cittadinanza a tutti quelli che nascono in Italia in un momento in cui milioni di italiani lottano per la loro sopravvivenza logistica è veramente «… pettinare le bambole».
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