Il tuo sguardo
non mi riconosce,
angosciato ti ripeto:
sono tuo figlio.
Una parola
hanno detto,
un duro responso:
alzheimer.
Cammino con te,
interminabili silenzi,
mentre ricordo
gli anni passati.
Momenti affettuosi,
progetti di vita;
ora un tormento,
una domanda: perché?
Il tuo volto statico
non palesa sofferenze,
fattezze sempre uguali
come un quadro in cornice.
Non so cosa provi,
se gioia o dolore,
se desideri o speranze,
non so cosa vive in te.
Ritorno ogni giorno,
con le stesse domande,
lo stesso tormento,
non so darmi pace.
Per un momento accetto
di starti accanto
come una persona
a te sconosciuta.
Allora quel volto,
l’aspetto insignificante
comincia a parlare,
mi invita a pensare.
Sei uomo debole,
sei persona indifesa,
il tempo e lo spazio
hanno perso di senso.
Continui a vagare
dove non sai;
ti lasci condurre
da una mano cortese.
Sei il volto di un uomo
con i colori della pace,
le tue cantilene
sono parole innocenti.
Sei quell’uomo
che mi ha generato:
sei sempre
mio padre.
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