Forse alcuni lettori ricorderanno il caffè Garibaldi di Corso Matteotti, oggi Nespresso in spazi più allargati al piano superiore. Piccoli tavolini in legno scuro, bancone in alluminio, specchi molati a mano con mensole che reggevano colorate bottiglie per il seltz, armadi segnati dai tarli, sul fondo un grande vetro smerigliato che virava al marrone e il ritratto di Garibaldi, bellissimo, a sorvegliare gli avventori. Un caffè, un’atmosfera cancellata dall’elegante pasticceria Pirola che a metà anni ’70 ne prese il posto.
La stessa cosa era accaduta prima per il Siberia di via Volta angolo via Bernascone, un tempio del biliardo e della scopa nelle sue diverse declinazioni, prima ricevitoria della Sisal poi del Totocalcio e luogo di ritrovo nei pomeriggi di maggio e luglio per ascoltare le radiocronache degli arrivi di tappa del Giro e del Tour con tanto di esposizione di una lavagnetta con ordine d’arrivo e classifica per i ritardatari. E più avanti affacciato su Piazza Mercato il Firenze approdo sicuro di chi lavorava al mercato e di chi ne usufruiva.
Tutti e tre più o meno avevano la stessa impronta sobria, lo stesso décor austero e fumoso imposto, volenti o nolenti, da un’offerta di arredi davvero essenziale per non dire povera che forniva comunque un comune denominatore estetico. Altri blasonati locali cittadini come il Pini, il Socrate, il Cavour (poi Zamberletti) si erano già dati una linea più americaneggiante e disinvolta. Gli anni a venire avrebbero fatto strame di tutto – fatta eccezione per l’ex Bosisio – in una corsa alle novità a tutti i costi che ha di fatto cancellato ogni identità, ogni riferimento storico. Negli arredi all’aperto poi si è davvero visto di tutto e di più.
Ben venga dunque il regolamento per il decoro urbano che il Comune di Varese sta ultimando per poi sottoporlo al voto del Consiglio. A ben vedere però quello dei caffè, del loro arredo, dei colori, è un aspetto importante ma solo un aspetto per una città come Varese che in questo campo ha davvero fatto pochissimo, quasi nulla, dopo la pedonalizzazione e relativa pavimentazione di parte del centro storico. Basta uscire dalle vie del lusso, dove nelle botteghe domina, ormai sovrana, la monocultura commerciale dell’intimo femminile, per imbattersi in marciapiedi a onda di mare e spesso rotti, in strade sconnesse, in muri sconciati da graffiti in desolante crescita su ogni superficie imbrattabile. Perfino le strisce pedonali sono un optional a Varese nonostante la loro indubbia utilità in termini di sicurezza per pedoni e automobilisti. E che dire della permanente assenza di piante e fioriere degne di questo nome in una provincia che mena gran vanto della propria vocazione florovivaistica.
Si sono accumulati anni di colpevoli ritardi che hanno le loro radici addirittura negli anni settanta e ottanta quando persino i giardini Estense erano in stato di abbandono con la fontana in panne e il laghetto prosciugato. Serve sì un regolamento del decoro urbano ma serve di conserva una precisa volontà politica di rammendare, ricucire, pulire una città che appare sciatta e sdrucita, in perenne sudditanza automobilistica. Se le risorse sono limitate si agisca di conseguenza scegliendo le priorità con rigore nella consapevolezza però che in attesa di tempi migliori pulizia, ordine, cura dei particolari potrebbero anche bastare. Del resto dicevano i nostri nonni “la bolletta aguzza il talento”.
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