Responsabilità è una parola dai molti significati, stando ormai a quanto si sente e si legge: il primo positivo, legato a rappresentazioni di impegno e di serietà misti a buon senso e, talvolta, anche a prudenza; mentre il secondo – che prende il sopravvento – ha una connotazione del tutto negativa, quasi un sinonimo di senso di colpa, piuttosto che il suo contrario, l’irresponsabilità. Altri significati, più spesso quando si parla rispetto a quando si scrive, sono lasciati nel vago, come se fossero latenti minacce.
Abbiamo ascoltato, nelle ultime settimane, il leader (ex) del Partito Democratico Pierluigi Bersani rivolgersi a Grillo e ai componenti del Movimento 5 Stelle e invitarli a una collaborazione: qualora non l’avessero fatto (e infatti non l’hanno fatto) “se ne sarebbero assunti la responsabilità”. Altrettanto ha sostenuto Silvio Berlusconi, navigatissimo deus ex machina del PDL, quando chiamava in causa il “senso di responsabilità” degli uomini e avversari politici del PD per un governo di larghe intese, cosa che poi – obtorto collo – è avvenuta. Beppe Grillo ne ha parlato invece riferendosi ai suoi numerosi deputati che, fattisi un po’ di conti in tasca, non se la sentono più di rinunciare ai congrui rimborsi politici romani: responsabilità o irresponsabilità per il Movimento?
E anche Nichi Vendola ha tirato fuori il “senso di responsabilità”, oggi diventato – a suo dire – un esecrabile trasformismo. In un eccesso di “ismi” il capo di SEL, prendendo spunto dai commenti sulla scomparsa del grande democristiano, ha detto poi che una tale accezione affonda le proprie radici nell’ “andreottismo”, dunque epigono – negativo, ancora secondo Vendola – del connubio cavourriano, ma più ancora delle manovre tardo-ottocentesche di Depretis, oltre che del compromesso storico di Moro, Berlinguer e di Giulio Andreotti.
Un severo appello (accolto) alla responsabilità, quasi un ultimatum, è stato fatto qualche settimana fa dal neo-rieletto presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale però negli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni non è ritenuto responsabile (art. 90 della Costituzione), a meno che non si tratti di alto tradimento e di attentato alla Costituzione stessa…
Insomma, il concetto di responsabilità è divenuto una specie di tormentone. Come le parole acqua minerale o acqua minerale naturale o acqua naturale che nelle battute di una breve commediola di Achille Campanile intontivano il cameriere trovatosi dinanzi a un meticoloso avventore: “Acqua minerale naturale o naturale naturale?” “Minerale, naturale”. E via così.
Il risultato è che alla fine, dopo quest’ubriacatura di responsabilità, nessuno sia più responsabile di alcunché. Anche il consiglio delle nostre mamme quando ragazzini ci allontanavamo da casa – “Sii responsabile…” – è naufragato nel nulla. Forse non sopravvive neanche nella memoria. Non riguarda i buoni, o almeno coloro che cercano di esserlo, e nemmeno i cattivi. Il maggiore Walter Reder, considerato responsabile (colpevole) dell’eccidio di Marzabotto si difese dicendo che era sempre stato un combattente, un militare soggetto a eseguire ordini superiori. Altrettanto fecero il tenente colonnello Kappler condannato per la strage delle Fosse Ardeatine e i capi del nazismo a Norimberga, quando i vincitori processarono i vinti, condannandoli com’era inevitabile: tutti responsabili ma anche irresponsabili perché l’unico responsabile – ma sarà poi vero o ci avevano messo del loro? – era morto nel bunker.
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