Oggi noi ci scervelliamo sui vari significati di cultura, facciamo convegni e appelli, rivendichiamo la mancanza di un coordinamento e chi più ce ne ha più ce ne metta.
Ma se andiamo indietro non di secoli ma solo di decenni scopriremmo che i nostri nonni avevano tutt’altri problemi, oltre a quelli che abbiamo anche noi del quattrino per il pane quotidiano. La cultura era solo ed esclusivamente il sociale, cioè la vita semplice della popolazione: allora si viveva da ignoranti? Tutt’altro, il connubio era stretto tra poeti, pittori, architetti, scrittori che avevano il grandissimo dono della popolarità, della reciproca solidarietà, della semplicità umana, del divertimento satirico.
Quando questo pezzo sarà accanto agli altri su RMFonline ci saremo forse dimenticati della festa del nostro Patrono. Ora voglio riportare la primissima parte di una composizione di Nino Cimasoni, vincitore nel 1967 alla prima edizione del concorso dia poesia bosina: “Ol nost campanin”.
“Ma sì! Parlemm on zicch del Campanin / Dol nost bel campanin da San Vitor / Che anca quand semm lontan… ga l’emm visin / In dol coeur!… e al ma sona tùtt i or / Come ai nost bisnoni e ai nostar pà, / L’emblema, sota al ciel, da stà cità. / Pensee che gigant quand l’è nassù / Con tùcc quìì casett bass sota da lù! / Quand tirava l’aria da Milan / Vers sira, su in colina, ol campanon / Ma pareva cal portass, d’on mond lontan / Ona gran vos da pas e da perdon! / Quanti or da contenteza opur d’afann / Han sonaa par tùcc quii car campann!”…
Non è retorica la mia o celebrazione; perché oggi quando riandiamo a leggere le opere del più illustre dei nostri poeti nel vernacolo bosino, l’avvocato Speri della Chiesa Jemoli (1865-1946 ) in molte di esse avveniva la celebrazione del nostro paesaggio, dello stupendo panorama del lago di Varese e del Monte Rosa, visto dal terrapieno della ferrovia dello Stato Milano-Porto Ceresio.
Ma all’epoca i rapporti erano strettissimi tra le arti culturali. Faccio alcuni esempi, invitando qualche appassionato ad andare a ripescare tra il pittore Giuseppe Montanari e il già citato Speri della Chiesa i rispettivi contributi librari e grafici.
E che dire del poeta, illustratore, artista professor Giuseppe Talamoni, che nel 1927 fondò il Gruppo Folkloristico Bosino, il quale a un certo punto si doveva esibire al Palasport per ospitare il pubblico; roba dell’attuale gruppo dei Legnanesi.
Il poeta Natale Gorini aveva spesso il contributo dei pittori Enrica Bonacina Turri, Renato Reggiori, Sergio Colombo e molti altri.
I tempi del dottor Umberto Zavattari e della Famiglia Bosina non torneranno più. Non dobbiamo essere nostalgici, ma fieri della tradizione, che dobbiamo fare conoscere a cominciare dal mondo della scuola, specie quella superiore, dove si forma la classe dirigente della città.
Facciamo riemergere i mecenati della cultura, come ad esempio fu il professor Giorgio Bignardi che a sue spese andava a rieditare vecchie e importanti edizioni librarie varesine.
Una altra citazione immancabile, quella del grandissimo architetto Bruno Ravasi, pressoché dimenticato, con il quale ho avuto veramente la fortuna di condividere momenti di sofferenza e al fine di gioia nel restauro compiuto della chiesa di Santo Stefano a Bizzozero.
Concludo con un suggerimento che può apparire banale: quando facciamo un regalo a un amico pensiamo a un libro di storia di Varese…
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