Nelle Chiese cristiane è in costante crescendo l’attenzione rivolta alla “responsabilità per il creato” e papa Francesco ne ha fatto uno dei motivi tipici del suo francescanesimo. È stupefacente che Piero Ostellino avverta il Papa: badi a non innescare una vena di pauperismo in una società come la nostra già fervida di tendenze antiborghesi. Se l’uomo all’interno della natura gode di uno statuto tutto particolare dal momento della creazione, non può concepire il suo antropocentrismo come dominio illimitato sulle cose e sugli esseri viventi in termini di consumo.
Nella Bibbia l’alleanza coinvolge soprattutto relazioni tra esseri umani, ma a volte si estende ad altre creature (Genesi 9,12; 9,16). È vero che l’antropocentrismo è un dato dell’eredità biblica, rispetto al cosmocentrismo di altre tradizioni religiose; che l’uomo è persona dotata di libertà rispetto a ogni componente cosmica e gode di indipendente capacità di giudizio; che fatto a immagine e somiglianza di Dio si svincola dalla necessità, prescindendo da qualunque modello meccanicistico. Ma c’è una continuità che lo lega agli altri esseri viventi in un ruolo di mediazione, che a tutti consenta di realizzare la propria vocazione, evitando comunque di rinchiudersi in una posizione biocentrica per cui l’umanità si riduce a una specie animale tra le altre, priva di particolare specificità.
Contro questa visione armonica della natura milita l’atteggiamento di popoli e governi. L’etica dell’ambiente non è declinata nella prospettiva della sostenibilità, non si delinea con chiarezza una prospettiva garantista, non si pone un problema di giustizia al contempo intragenerazionale e intergenerazionale. È di tutta evidenza poi che senza riferirsi alla dimensione ambientale riesce particolarmente difficile pensare adeguatamente a un’etica sociale. Urge una vocazione alla sobrietà, articolata in ecosufficienza ed ecoefficienza. E la fraternità creaturale, che nasce dal senso del limite, va esercitata altresì in un’attenzione rispettosa anche per gli animali compagni della creazione. La nostra deve essere una spiritualità dal respiro cosmico.
Ecco invece nella civiltà dello spreco e della disuguaglianza sempre più accentuati lo sfruttamento dissennato delle risorse alimentari, nei paesi industrializzati un terzo del cibo viene buttato via, di fronte a 1,5 miliardi di persone obese stanno 868 milioni di denutriti e affamati; nella folle rincorsa all’estrazione del petrolio dalla sabbia bituminosa in Canada si devastano grandi zone con inquinamento mortale di fiumi e laghi (e il paese diventa il primo fornitore di greggio agli Usa). Il futuro urbano denso e affollato determina un inquinamento antropogenico. Si va verso una crisi climatica abnorme. Certo il basso impatto ambientale o l’energia alternativa non debbono essere concepiti come un lusso per pochi eletti, vanno introdotti nuovi stili di vita.
L’economia del dono esige che si recuperino le eccedenze per chi ne ha bisogno: un miliardo e 300 milioni di tonnellate di cibo vanno sprecate sulla filiera agroalimentare: basterebbero a sfamare metà della popolazione mondiale. Lo spreco concerne il 17% dei prodotti ortofrutticoli, il 15% del pesce, il 28% di pane e pasta, il 29% di uova, il 30% di carne, il 32% di latticini. Bisognerebbe far dimagrire anche il bidone della spazzatura. Al tutto insoddisfacenti sono i risultati in termini di raccolta differenziata: a Roma fa registrare il 24%, di fronte al virtuoso 77,6% di Pordenone, mentre ci si abbassa addirittura al 3,8% di Foggia e all’1,1% di Enna. Purtroppo la contabilità economica trionfa su quella ecologica. Quanta parte del suolo agricolo va recuperata, quanto grande deve essere il ripristino del territorio!
Passando all’Italia il 6,9% è coperto dal cemento di fronte alla percentuale europea del 2,3%. Manca una legge nazionale sul consumo di suolo e ai ritmi attuali si perdono 75 ettari al giorno. Da noi la messa in sicurezza ambientale è una priorità assoluta, il rischio idrogeologico riguarda l’82% dei Comuni, frane e inondazioni si verificano anche nei contesti urbani. Tornano alla memoria prepotenti il disastro di Giampilieri e Scaletta Zanclea (ottobre 2009), l’allagamento della Maremma (novembre 2012). Per i provvedimenti purtroppo nel bilancio del 2013 figurano appena 79 milioni di euro tramite la Protezione civile (con un taglio di 100 milioni rispetto a due anni fa: è solo il 2,6% delle risorse ritenute necessarie). Il ministro Clini prevedeva in prospettiva l’impiego di ben 40 miliardi di investimenti.
Si pensi che in Italia i verdi sono scomparsi come forma partito, una residua presenza ambientalista si registra all’interno del PD. Per fortuna allarmano meno progetti faraonici come il ponte sullo stretto di Messina (non è emerso alcun gruppo bancario che finanzi il 60% dell’opera e il costo è esploso da 3,9 a 8,5 miliardi di euro, mentre mancano garanzie antisismiche).
Quanto resta ancora da fare: recuperare i fondi europei disponibili, investire in ricerca per la riconversione ecologica nelle industrie, recuperare materie prime dai rifiuti, favorire ulteriormente agricoltura e agrindustrie! Quante opportunità per l’occupazione! Per fortuna il target 2012 del protocollo di Kyoto sull’emissione di gas serra pare sia stato centrato in Italia.
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