Secondo la mitologia greca Procuste era un brigante che dopo aver assalito i viandanti sulla strada tra Eleusi e Atene li commisurava a un letto di pietra, stirandoli con la forza se troppo corti o amputandoli se troppo lunghi. Bisogna adattarsi, insomma. Chi legge ha già capito che, prima o poi, su quel letto ci finiamo tutti.
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Foreign Policy pubblica la lista delle cinquecento persone più influenti del pianeta. I nomi sono in ordine alfabetico. Tra Bernanke, presidente della Federal Reserve, e Bewers, capo del colosso Time Warner, è sorprendentemente incastonato uno dei nostri più preziosi gioielli: Bersani.
E Berlusconi? In questi elenchi di quasi immortali, di unti dalla buona sorte, di fulgidi semidei, lui c’è sempre stato. Ma stavolta no. Non lo trovate neanche sotto Silvio, o Cavaliere, o Bunga Bunga. E che cavolo. Eppure FP è una testata very cool, collegata al Washington Post, aggiornata in modo sistematico e consultata con fiducia in tutto il mondo. Il cuore balza in gola. Forse ci stiamo perdendo qualcosa.
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Intorno al barbone, come a custodirne l’estraneità dal mondo, vorticano le molecole di un fetore complesso – la piramide olfattiva sale dal liquame di porcilaia al più volatile cane bagnato passando per i crauti fermentati -, un insieme che blocca il respiro e lascia inebetiti. La barba color fieno e croste di sporcizia gli coprono il viso, ha un ematoma sulla fronte e gli occhi velati. La pena confligge con lo sgomento. Ecce homo, viene da pensare.
È accucciato contro la saracinesca di un negozio chiuso per fallimento. Ha cambiato posto ieri mattina, quando hanno chiamato i vigili: un cimicioso senzatetto il cui unico capitale sono i ricordi non poteva stazionare davanti a una banca, era una bestemmia laica, un ossimoro vivente.
Sente tintinnare le monete nel bicchiere di plastica. “Grazie, signore, grazie”. “Non c’è di che”.
A quel punto succede qualcosa. Il barbone solleva la mano scura e unghiuta come una zampa e un bagliore gli illumina lo sguardo mentre punta l’indice verso il cielo. “Dicevo a lui”.
Ecco l’ uomo.
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Ospite recente a “Che tempo che fa”, il neopresidente del consiglio Enrico Letta ha innervosito il già visibilmente irrequieto Fazio affermando in tono convinto, forse troppo convinto, che “l’Italia non vuole sbracare”. Un po’ difficile condividere. Perché non è che l’Italia non voglia: semplicemente, trovandosi in mutande, non può. Se solo fosse possibile, chi mai ce la impedirebbe un’altra spavalda, gloriosa, schizofrenica sbracatura?
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