Durante l’ultima edizione della maratona di Boston del 15 aprile scorso, terroristi islamici, provenienti dalla Cecenia, avrebbero collocato due bombe in Boylston Street facendole esplodere all’arrivo dei maratoneti, causando morti e feriti tra la folla assiepata ai lati della strada dov’era situato il traguardo. Dopo l’attentato, Obama si è recato nella cattedrale di Boston per partecipare a una cerimonia in ricordo delle vittime. Nella circostanza il presidente USA – com’era obbligato a fare chi ha eliminato Bin Laden – ha appalesato grande determinazione dichiarando tra l’altro: «Finiremo la corsa. Finirete la corsa. Una bomba non può fermarci».
In realtà egli era più che preoccupato perché, come molti americani, ha visto ritornare gli spettri dell’11 settembre 2001 mentre l’America sta appena uscendo da una crisi economica e industriale che, per molti aspetti, è stata più devastante di quella del 1929. Proprio durante la commemorazione delle vittime della cieca violenza di Boston, Obama si è visto bocciare dal Senato la riforma restrittiva dell’attuale legge sulle armi. In un Paese dove il possesso di un’arma per la difesa personale è direttamente sancito dalla Costituzione, la bocciatura del Senato americano ha avuto, dal punto di vista emotivo, una comprensibile ragione d’essere.
Sì, perché, aldilà degli interessi della lobby statunitense delle armi, il Senato ha interpretato un sentimento che negli Usa è più diffuso di quanto l’amministrazione Obama non dica e che, nel caso specifico, significava questo: «Non ti consentiremo di disarmarci mentre vengono a massacrarci fin dentro casa!». E, poi, Barack Obama, che è pervaso dalla stessa, spocchiosa demagogia che caratterizza i leader liberal statunitensi, ha un bel promuovere campagne a effetto emotivo perché non si capisce di quali restrizioni sulle armi egli vada parlando da quando è stato eletto la prima volta se il PIL americano si nutre gagliardamente di commesse militari e cioè dalla produzione di armi. Evidentemente, i demagoghi in versione stelle e strisce – come quelli italiani – non avvertono più la necessità di essere almeno coerenti.
Ritornando a Boston subito dopo l’attentato, destava ammirazione e, allo stesso tempo, malinconia quel bostoniano che, mentre fervevano i soccorsi dei feriti, se ne girava stralunato per la strada agitando la bandierina americana: sembrava l’ultimo combattente del 7° Cavalleggeri prima dell’assalto finale degli indiani di Cavallo Pazzo! Sarà stato che eravamo alla vigilia di quell’orrendo spettacolo che, poi, è stato l’elezione del presidente della Repubblica, sarà stato che essere antiamericani è diventata condicio sine qua non per fare carriera in Rai e nei principali media, sta di fatto che l’attentato di Boston è stato seguito con superficialità, quando non con malcelato compiacimento da certi mezzi busti nostrani: il gigante americano era di nuovo nella polvere!
Subito dopo l’attentato di Boston, in verità, l’America non ha trovato una diffusa solidarietà neppure sul social network, anzi qui il compiacimento per le sue disgrazie era ancora più sfacciato. Dopo quanto è successo durante l’elezione del presidente della Repubblica almeno a noi che imbrattiamo lenzuola di giornali perché convinti di avere una visione nitida di ciò che succede in Italia e nel mondo dovrebbe incominciare a far paura la vocazione alla catarsi della sinistra italiana, così come la sua incapacità a prendere atto dei cambiamenti della storia. E che cambiamenti!
L’India (che ha iniziato a fare le prove di “grande potenza” proprio con noi a proposito dei marò),la Russia, il Sudest Asiatico ela Cinaprocedono con un Pil in continua ascesa che, nel caso della Cina, è costantemente a due cifre da anni. Ciò in futuro consentirà a questi Paesi – dove non sono così diffuse le correnti d’opinione né movimenti pacifisti di una qualche rilevanza – di liberare enormi risorse da poter dedicare gli armamenti e, nel giro di un quinquennio,la Cinapotrebbe diventare l’unica potenza economica e militare del pianeta. Tra l’altro,la Cinaper portare avanti il proprio sviluppo ai ritmi attuali, entro il 2020 dovrà fare incetta di tutte le risorse alimentari ed energetiche disponibili sulla terra. In quel caso, gli USA,la Russiae l’India se ne staranno semplicemente a guardare? Com’è evidente, dal suddetto elenco manca l’Europa Unita e ciò perché siamo persuasi che, in caso di necessità, essa procederà come ha sempre fatto in questi anni: in ordine sparso!
Questi foschi scenari preoccupano l’amministrazione statunitense fino al punto che il Nobel per la pace Barak Obama ha chiuso entrambi gli occhi sul fatto che il 13% del PIL americano sia costituito da commesse militari. Peraltro,la Cina, che non ha mai fatto professione di pacifismo, ha risposto incrementando il suo budget per la difesa dell’11,2%, come in misura diversa stanno facendo anchela Russiae l’India (vds. elicotteri e relative mazzette Finmeccanica…).
A questo punto anche uno sprovveduto capirebbe che tutto l’Occidente, in particolar modo l’Italia, dovrebbe operare e sperare a che l’America – nonostante le sue molte luci ed ombre – tenga ben saldo tra le mani lo scettro della leadership mondiale.
Prima di compiacerci per le sue disgrazie, ricordiamo sempre che con l’America Bettino Craxi poté fare la faccia feroce a Sigonella senza che vi fossero complicazioni diplomatiche o conseguenze pratiche per il nostro Paese, mentre conla Cina,la Russiao l’India di oggi egli avrebbe potuto dire una cosa soltanto: «Signorsì!». Se dovesse intervenire per davvero il ridimensionamento della potenza (democratica) USA, entro poco tempo, noi europei potremmo diventare una colonia della più feroce dittatura d’interessi che si sia mai vista al mondo e, a quel punto, poco importerebbe se il centro dominante di una tale sistema si trovasse a Pechino, a Mosca o a New Delhi.
Purtroppo (o per fortuna), per ragioni anagrafiche, chi scrive non farà in tempo a togliersi la soddisfazione di poter vedere i figli di coloro che oggi gioiscono ogni qualvolta che l’America prende una batosta andare a fare le pulizie nei cessi di quei lager che sono in Cina le fabbriche, oppure il raccoglitore della cacca delle vacche sacre per le strade di Calcutta.
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