Evviva la con-fusione!
Il risultato da me confusamente atteso e sperato è arrivato con una settimana di ritardo, passando attraverso la frammentazione delle mancate elezioni dei candidati ufficiali alla Presidenza della Repubblica e la con-fusa e felice rielezione di Giorgio Napolitano.
Non è il massimo dei beni, ma non è nemmeno il minore dei mali, per nessuno.
È l’inizio di un bene possibile, incerto e fragile, per nulla consolidato, ma è qualcosa, soprattutto per chi ha sentito per anni cantare la filastrocca del “minore dei mali”, come criterio di scelta per la politica. D’accordo, non è un criterio sbagliato, ma non ci spinge mai a una riflessione più profonda, ad un impegno personale, ci spinge ad accontentarci e, come dice il contro proverbio, “chi si contenta muore e non lo sa”.
Sarebbe sbagliato, invece, mettersi in una condizione di provvisorietà, nell’attesa che qualche accidente ci liberi degli scomodi e sgraditi compagni di viaggio, lavorando ancora e solo alla realizzazione della parte di programma che garantisce l’elettorato di un solo partito ed ostacolando il raggiungimento di un bene comune. Non c’è dubbio che per il governo Letta le prime settimane saranno le più difficili: non s’impara facilmente a collaborare dopo due decenni di liti selvagge, che hanno selezionato i dirigenti politici proprio in base alla loro capacità di prevalere nelle arene televisive o di sparare giudizi taglienti sugli avversari, piuttosto che per la capacità di amministrare, di proporre soluzioni efficaci anche se impopolari o almeno di mediare, prima tra alleati, poi anche con l’opposizione.
Non è un caso che la composizione del governo sia decisamente “strana”.
Quasi tutti, mi ci metto anch’io, ignoravamo addirittura l’esistenza di molti dei personaggi chiamati al rango di ministri. Ma ad uno sguardo più attento, colpiscono di più le assenze forti delle presenze deboli. Con l’ovvia eccezione di Letta e di Alfano, coloro che contano nel rispettivo partito, non sono nel governo. Non credo sia una questione di svolta generazionale, visto che il ministero più delicato, quello dell’economia, è stato affidato ad un tecnico ben sperimentato, non ad un politico.
Il bipolarismo è stato portato dentro il governo, non certo risolto con un colpo di bacchetta magica ed è ovvio che è più facile trovare il giusto compromesso in due piuttosto che in venti.
Com-promesso! Ecco la parola che dovrà presto subentrare a con-fusione.
Una promessa reciproca e la volontà di mantenerla con lealtà, nelle circostanze cogenti dell’emergenza ed anche oltre; nella complessa organizzazione di una manovra economica che provi a far convivere le opposte ragioni dello sviluppo e dell’austerità e soprattutto nel momento dell’elaborazione di una legge elettorale, in cui sarebbe facile cedere alla tentazione di volere a tutti costi quel sistema che avvantaggi la propria parte, magari mirando a provocare le elezioni anticipate subito dopo.
Il paradosso provocato dalla crisi dei partiti è proprio questo: per cercare un risultato politico altissimo occorreva un governo di persone di basso profilo politico, che non potessero incrinare, con eventuali dissonanze personali, il percorso impegnativo prefissato. Secondo me, non è vero che sia un ritorno della DC sotto mentite spoglie, mi sembra piuttosto una specie di CLN, in condizioni meno difficili. Occorre preparare una seria e condivisa riforma delle istituzioni, con qualche correzione alla Costituzione stessa, proprio per consentire il ritorno ad una democrazia dell’alternanza, certamente meno feroce di quella vissuta per vent’anni.
Non sarà un vero “matrimonio” tra i nostri com-promessi, la separazione consensuale è già prevista: fra Cristoforo Napolitano ha potuto mirare ad una pacificazione solo temporanea, e dall’altra parte il bravaccio Gri-(llo) non è riuscito a condurre al talamo di don Rod-(otà), la fanciulla Italia e, se non può seriamente pensare di avere una seconda occasione, continuerà giustamente a innalzare l’inno dello scontento.
Non c’è lieto fine holliwoodiano o da favoletta, non tutti vissero felici e contenti. Ma non è un male, è la realtà. La storia vera non finisce mai, per fortuna si ricomincia ogni volta. Ed è più facile ricominciare dalla scontentezza, dall’ ostacolo da superare, dal desiderio: “ciascun confusamente un bene apprende / nel qual si quieti l’animo e disira; / per che di giugner lui ciascun contende”.
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