Enrico Letta (il più tecnico dei politici, il più politico dei tecnici) ha un suo tocco di varesinità. È stato tra di noi molte volte: come uomo di partito, di governo, della comunità scientifica. Ci ha raccontato l’esperienza di parlamentare europeo, di ministro della Repubblica, di studioso del diritto. Quando i politici e gli amministratori locali l’hanno chiamato, non s’è mai rifiutato d’accorrere. Idem se l’invito è venuto dal mondo dell’economia, del commercio, dell’università. Settori che gli stanno particolarmente a cuore. Ecco perché, alla notizia dell’incarico conferitogli da Napolitano, da qui è venuto un naturale augurio al premier designato: c’è la convinzione che egli più di altri sia in grado di rispondere alle emergenze del momentaccio italiano. In tempi di prevalenza del pensiero debole, la soluzione proposta da Napolitano può rivelarsi di segno forte in quella sorta di repubblica di Weimar all’amatriciana che siamo diventati.
Letta che mette al primo posto delle cose da fare la lotta alla disoccupazione, è in sintonia con la domanda d’un territorio messo a dura prova dalla grande crisi; Letta che s’impegna a ridare credibilità alla politica ottiene un plauso ancora più forte, visto il degrado che per taluni aspetti e su alcuni versanti la politica ha mostrato nel nord del Nord; Letta infine che intende attuare le riforme costituzionali incrocia un’esigenza non secondaria in un’autorevole periferia del Paese. Circola infatti la (ovvia) consapevolezza che solo uno Stato snello, efficiente, moderno possa corrispondere alla necessità di rinnovamento, pulizia, rilancio avvertita nel cuore della produttività nazionale più intensamente che altrove.
Raccoglie favore, infine, la caratura personale dell’uomo. Il suo essere concreto, sobrio, fattivo invece che chiacchieroso, vago, dilatorio. Pur non essendo lombardo, se avesse visto la luce (purtroppo e sciaguratamente non la vide) un PD federato, cioè un PD del Nord, di sicuro una figura come la sua sarebbe piaciuta come riferimento diretto. Come testimone affidabile. Come interlocutore privilegiato. Del resto, che egli abbia sempre guardato con speciale riguardo ai problemi di questa parte d’Italia lo confermano, oltre che le sortite politico-economico-accademiche nei luoghi varesini, alcuni interventi ai workshop dello studio Ambrosetti, di cui è un assiduo ospite. Dalla ribalta di Cernobbio e da pulpiti consimili Letta ha ciclicamente indicato la prevalenza della questione settentrionale nell’ordine delle missioni da compiere nella ricostruzione italiana. Ricostruzione italiana non è un definire a caso: è un rifarsi alle sue precise parole, dette in epoche non sospette, quando l’incombenza del possibile default veniva sottovalutata e addirittura irrisa. E a pochi appariva invece chiaro come si dovesse mettere subito mano a un incisivo piano di riforme per non rischiare d’essere confinati alle soglie della povertà, se non dentro la povertà stessa. Non per nulla il rapporto di Letta – capintesta dell’anima del PD benorientata verso il governo tecnico – è stato fin da subito solido e cooperante con Mario Monti. E soprattutto leale.
È probabile che solido, cooperante e leale sia ora l’atteggiamento della Lega (fiducia al governo, poi opposizione costruttiva) verso il premier, se premier sarà. Maroni lo apprezza, e non gli metterà certo i bastoni tra le ruote, semmai il contrario: l’aiuterà a farle girare meglio, rimuovendo gli ostacoli. Maroni è per la praticità, e Letta lo stesso. Tra di loro non ci saranno intese astratte, bensì patti concreti se le reciproche esigenze concorderanno. Sarebbe sorprendente se non concordassero.
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