Nell’antichità il termine persona stava a significare maschera e quindi il personaggio che agisce all’interno del dramma (in greco prosopon, il volto umano dell’attore). Ma valeva anche come soggetto di diritto, che può assumere un ruolo in giudizio e rivendicare il proprio ius. Netta la contrapposizione tra persone e cose (onde diritti personali e diritti reali). Lo stoico Panezio dà un riconoscimento etico alla personalità individuale. Per i Padri della Chiesa latina persona era traduzione di hypostasis a significare la sussistenza divina di Padre, Figlio e Spirito Santo in un’unica realtà (dogma della Trinità). Per Boezio, che ne ha una concezione sostanzialistica, vale come una sostanza individuale di natura razionale.
L’inizio della persona si pone al momento della fecondazione. A questa visione si ricollega più tardi San Tommaso, che definisce persona ogni individuo dotato di natura razionale, giungendo ad applicare il termine a Dio. Ma per lui l’embrione non è persona. È la presenza dell’anima, che fa dell’uomo una persona e questa discende nell’uomo in un momento successivo al concepimento fisico. Comunque la persona umana vale come soggetto ontologico.
Invece nella filosofia moderna si passa da una concezione ontologica a una accezione funzionale: in evidenza è la funzione psicologica di collegare nella mente i diversi contenuti dell’esperienza: di qui la garanzia della continuità della memoria e i presupposti per l’attribuzione della responsabilità morale. John Locke non riferisce il termine a sostanza, bensì all’io, o coscienza, sotto l’aspetto morale, che vede costituita l’identità con se stesso attraverso il tempo grazie alla continuità della memoria. Per David Hume peraltro l’io stesso è soltanto un fascio di percezioni in incessante movimento, per cui l’identità è solo frutto della nostra immaginazione.
Venendo a Kant, superato il concetto di realtà sostanziale, l’uomo è persona in quanto portatore della legge morale, capace di autonomia e dotato di una dignità incomparabile, senza prezzo. Ha la disposizione ad agire in base a massime della pura ragione. Il rispetto della persona in sé e negli altri diventa il contenuto stesso dell’imperativo categorico: l’umanità non deve essere trattata soltanto come mezzo, ma sempre anche come fine. La comunità delle persone è il regno dei fini in contrasto col mondo dei fenomeni naturali. Non è così per Hegel, che limita il significato del termine persona a un’accezione meramente giuridica.
Nel XIX secolo Charles Renouvier difende la dignità della persona contro panteismo e positivismo. La fenomenologia tedesca intende persona come sorgente degli atti essenzialmente di tipo emotivo; una realtà stratificata di corpo, anima e spirito è unificata dal carattere intenzionale dei vissuti affettivi, mentre empaticamente si rapporta agli altri.
Nel XX secolo una prospettiva personalista si afferma grazie a Emmanuel Mounier (rivista Esprit, fondata nel 1932) e a Jacques Maritain, con una sintesi ricercata tra liberalismo individualista e collettivismo marxista: la persona viene posta al centro dell’interesse e significa e comporta per un lato i diritti universali di ogni individuo, per l’altro i doveri di solidarietà (si tratta di fondere l’istanza personalista con quella comunitaria).
Poste queste brevi premesse nel campo della bioetica si pone il problema di definire i confini della persona e quindi i confini dei doveri di tutela nei suoi confronti.
Nella visione di Boezio al momento della formazione di un nuovo patrimonio genetico il nuovo individuo contiene già in potenza al momento della fecondazione tutte le qualità e capacità tipiche della persona. Parimenti, guardando al termine della vita, i soggetti che siano in puro stato vegetativo o per degenerazioni patologiche neurologiche vengano a essere privi della coscienza, della razionalità e del linguaggio (capacità cognitive superiori), essendo ancora persone, meritano particolare tutela.
Per altri invece (partendo dalla tesi lockiana) è necessario riferirsi alla capacità di esercitare le funzioni psicologiche superiori, perché l’individuo possa definirsi persona. Le caratteristiche del sé, dell’identità, dipendono poi in gran parte dall’ambiente, in diverse culture si formano sé diversi. Quando il sé interiore risulta troppo frammentato si hanno manifestazioni patologiche di depersonalizzazione, mentre va mantenuta una condizione di continuità del sé.
Noi siamo poi autori coscienti delle nostre azioni o queste sono determinate da imperscrutabili meccanismi inconsci?
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