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Universitas

L’INDIVIDUO IRRIPETIBILE

SERGIO BALBI - 19/04/2013

Il prossimo 22 aprile, presso l’Ospedale di Circolo si terrà un seminario dal titolo “Esperienze interdisciplinari nel neuroimaging computazionale”. Il titolo può sembrare oscuro per i non addetti ai lavori ma durante questo incontro verranno illustrati i progressi ottenuti negli ultimi anni nel campo della NMR cerebrale,  compresi alcuni risultati di un proficuo lavoro di collaborazione tra l’Università dell’Insubria e l’Azienda ospedaliera varesina.

I temi trattati saranno molti, spaziando dalle tecniche automatiche per valutare il volume di aree cerebrali interessate da patologie come tumori, traumi o ischemie,  fino a metodi che permettono una misura quantitativa di attivazioni di determinate sedi neuronali durante compiti motori o linguistici; più in dettaglio, queste tecniche dette di Risonanza magnetica funzionale permettono di verificare, durante l’esecuzione dell’esame, la funzionalità e le caratteristiche specifiche del cervello del paziente sia durante movimenti di un arto, ad esempio, sia durante l’espressione verbale.

Questi strumenti, ampiamente diffusi e già utilizzati in tutto il mondo hanno messo in evidenza come il nostro cervello non sia una struttura rigida, in cui determinate aree cerebrali sono responsabili di una funzione linguistica o motoria in modo esclusivo e immutabile, ma esistano fenomeni di plasticità e continuo adattamento dei nostri neuroni alla presenza di varie patologie; in più si è cominciato a comprendere come anche quando il nostro cervello è in quiete, a riposo, continua ad attivare alcuni circuiti responsabili del nostro stato di veglia o di sonno. Un concetto forse intuitivo o ben immaginabile dato che ci sembra impossibile astenersi da un pensiero qualunque o dal sognare, tuttavia le sequenze funzionali della Risonanza Magnetica ci stanno permettendo di comprendere moltissimo su come si strutturano queste attività.

Da queste poche parole è facile capire come moltissimi possano essere i campi di studio nella fisiologia cerebrale, come molteplici possano essere le applicazioni cliniche, ma altrettanto numerose devono essere le cautele nella raccolta e nella valutazione di questi risultati. Basti ad esempio pensare come la valutazione del volume di determinate aree cerebrali venga a volte messa in relazione con aspetti comportamentali del soggetto esaminato, correndo il rischio di una deriva neo-frenologica, riduttivamente meccanicistica che si credeva  abbandonata da tempo. D’altronde la lusinga della misura, del numero, che spiega come funziona il mondo è sempre presente nella conoscenza umana se si dimentica di interpretare il dato alla luce della complessità di un fenomeno naturale.

Ripeto però che questa necessità di cautela è ben presente e benvenuta nella letteratura scientifica. E questo sentimento porta con sé anche qualche risorsa che deve essere ben utilizzata; si sta facendo sempre più evidente, anche nella costruzione di un progetto sperimentale, il fatto che ogni dato, ogni schema di connettività o funzionamento cerebrale, grazie ai fenomeni di plasticità cui ho fatto cenno, sia peculiare di un singolo soggetto e difficilmente riproducibile. In altre parole proprio i progressi della tecnologia, tante volte accusata di appiattire l’umanità in una grigia massa di “utenti”, stanno, con il linguaggio della scienza, portando in superficie l’idea dell’irripetibilità di un individuo nel suo essere e nel suo divenire.

Questo infatti non avviene solo nel confronto con gli altri in un dato istante ma, studiando nel tempo un singolo soggetto, si comprende come l’identità dello stesso, possa lasciare nei dati raccolti dalle macchine che lo esaminano, traccia di piccoli mutamenti, di adattamenti che sono oggetto di misure, valutazioni ma sui quali non siamo certamente autorizzati a dare giudizi di valore o morali; possiamo  tenere con noi questi dati, questi numeri, utilizzarli per comprendere meglio i meccanismi delle malattie, per progredire nelle cure, ma lasciamoci anche emozionare da questi fatti; in fondo siamo tutti un po’ Tommaso, ci piacerebbe “stendere la mano” per toccare l’anima; in questo  la tecnologia è destinata senz’altro al fallimento, la crediamo capace di tanto solo quando pensiamo riduttivamente a quello che siamo; tuttavia il nostro approccio al mondo di uomini moderni  tenga sempre viva la voglia di raccogliere i frutti del proprio lavoro per guardare un po’ più in alto, e un po’ più al fondo delle cose.

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