Chi ha conosciuto, per nascita e/o per frequentazione, la vita di paese fino a non molti decenni fa, certo rammenta che nelle piccole comunità, da bambini, non si aveva la percezione di vivere in una società divisa in classi.
I veramente poveri erano pochissimi e i veramente ricchi ancor meno e per giunta risultavano non immediatamente identificabili, dato che vivevano per lo più in città anche se in paese possedevano case e terreni. Ma se anche vivevano in paese, non si distinguevano per usi e costumi dagli altri paesani. Regnava ovunque la parsimonia e scarsa era l’ostentazione della ricchezza.
I bambini si mescolavano senza distinzioni a scuola e nel tempo libero, passato a scorrazzare per prati e boschi o al campo sportivo o nelle attività legate alla chiesa e all’oratorio.
Tutti vivevano coi loro genitori e i nonni e tutti ricevevano, più o meno, la stessa razione di attenzioni e di calci nel sedere, quando non erano svelti ad evitarli. E tutto il paese era un laboratorio aperto a tutti: ci si poteva unire ai contadini quando aravano e seminavano e raccoglievano, o andare alle cave a curiosare ricavandone in genere urla e strepiti di chi si preoccupava che non ci si cacciasse nei pericoli. Oppure si andava nelle stalle a veder mungere le mucche o strigliare i cavalli. Si era un po’ figli di tutti e nessuno aveva la sensazione d’essere figlio di nessuno.
Così, ordinato e felice appariva il mondo.
Ma poi, piano piano, trapelavano notizie, intuizioni, che alla fine, messe insieme, andavano a formare un mosaico dalle tinte forti e dai contenuti sconcertanti.
Come quando s’intuì, confusamente, che un figlio si poteva anche non volere, tanto da impedirgli di nascere, come si diceva che avesse fatto la Santina che in gioventù aveva avuto un figlio che però non aveva avuto, insomma non l’aveva fatto nascere perché non era ancora sposata.
O come quando, gradualmente, a tocchi e bocconi, emerse la storia vera della Carolina, una vicina di casa classe 1912, che quando ancora non aveva due anni, fu abbandonata da suo padre, partito per le Americhe e ben presto là scomparso senza dar più notizia di sé, pare convolato a nuove nozze nella felice terra delle libertà. Così, di colpo, la verità vera si faceva strada mostrando un mondo tutt’altro che rassicurante. La Carolina, che ben presto perse sia il fratello maggiore che la madre e rimase sola al mondo, crebbe comunque sana e bella, affidata alle cure di una zia, che appena possibile la mise a servizio da certi signori. Non ebbe comunque mai una sua famiglia, per quanto non le mancassero i corteggiatori e fosse pacata di carattere, azzurra di sguardo e agile e flessuosa nel ballo del sabato sera. “Né fiöö né cagnöö”, ripeteva, poiché date le esperienze durissime della sua vita, che pure non le avevano intristito il carattere, ma certo fornito ammaestramenti, non voleva correre il rischio d’un investimento amoroso che avrebbe potuto rivelarsi, presto o tardi, fallimentare.
Quindi né bambini né cagnolini, ma una quieta vita da single.
Lucida scelta, per lei. Quasi incomprensibile, per gli altri.
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