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Politica

ALLA RICERCA DI UNA GUIDA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 19/04/2013

Dopo due mesi dalle elezioni le forze politiche non sono ancora riuscite a formare un governo; è vero che nessuna formazione ha raggiunto in Parlamento, nonostante il premio di maggioranza, i seggi sufficienti per sostenerlo, ma è altrettanto vero che non può venire meno la solidarietà di tutti i partiti verso le esigenze del Paese.

L’Italia non può andare avanti a lungo senza un centro propulsore delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione, soprattutto in un periodo di profonda crisi morale ed economica come quella che stiamo attraversando.

Vi sono forze politiche, come il nuovo Movimento 5 Stelle, che accarezzano l’idea di una dissoluzione delle istituzioni come premessa per un’improbabile rinascita della politica; ma non si può costruire dal niente; i vuoti di potere hanno sempre generato caos e soluzioni autoritarie.

La strategia portata avanti dal Partito Democratico, che ha raccolto più voti e più seggi rispetto agli altri, è stata inadeguata; ha puntato tutto sulla disponibilità del M5S di Grillo per un “governo di cambiamento” ma non ha tenuto conto della sua vocazione antisistema che è la molla del suo successo e che lo porta a non assumersi alcuna responsabilità di governo.

Grillo ha sempre detto che “a questi politici che ci hanno portato al disastro la fiducia non la voteremo mai”; è chiaramente una dismissione di responsabilità verso il Paese che probabilmente contraddice la volontà dei cittadini, ma è un dato di fatto difficilmente modificabile nei tempi brevi.

Cercare, come ha fatto Bersani, di trovare a tutti costi un accordo con questa componente, sino ai limiti della sua personale umiliazione, è stata un’inutile perdita di tempo.

Siamo al paradosso per cui tutti i partiti sono identificati con un leader salvifico  sotto la cui guida continuano però a perdere milioni di voti a favore di un movimento che raccoglie consensi da segmenti diversi della società come segno di sfiducia verso l’intero ceto politico che tuttavia non rappresenta una alternativa concreta.

L’intento perseguito a oltranza di governare da solo ma con i voti degli altri, di Berlusconi e della Lega, è un atteggiamento irragionevole da parte del Partito democratico; la sfida di voler costituire un governo di minoranza per indurre i “grillini” a un ripensamento oppure di raggiungere un accordo tecnico con il centro-destra è uno schema politico contradditorio rispetto alla asserita volontà di cambiamento. Un governo minoritario guidato dal centro-sinistra per cambiare la politica è inadeguato perché è facilmente condizionabile dai suoi sostenitori esterni che possono farlo cadere quando vogliono.

Come può Bersani pensare di governare un Paese difficile come l’Italia, investito da una crisi economica profonda, se la sopravvivenza del suo governo è affidata alla condiscendenza di partiti che possono revocare in ogni momento la fiducia? Negli anni Settanta Enrico Berlinguer, segretario del ben più forte Partito Comunista, aveva detto che non si può governare con il cinquantun per cento dei voti, figurarsi con il trentacinque! L’unica soluzione che potrebbe consentire la formazione di un governo non effimero è un accordo serio e chiaro, magari su punti limitati, tra i due maggiori schieramenti.

Altre soluzioni non esistono, neppure il ricorso a nuove elezioni che ci farebbero perdere altro tempo e che, anche con una problematica nuova legge elettorale, non è sicuro che possano assicurare la necessaria maggioranza e stabilità di governo.

L’ostinazione del Partito Democratico nel seguire questa impostazione lo ha portato nella totale confusione, sono saltati gli equilibri interni e le correnti si fronteggiano senza trovare una strategia comune; di più il rigurgito identitario proposto dal ministro Fabrizio Barca rischia di trasformare il PD da soggetto plurale dove confluiscono diverse culture in un antistorico soggetto di sinistra organicamente legato alla componente radicale di Vendola.

La politica è in crisi perché è andata in crisi la società che non si riconosce più nei grandi corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni) che erano mediatori dei conflitti ed elaboratori di proposte. Le profonde trasformazioni sociali che hanno accompagnato i processi di globalizzazione hanno influito sulla omogeneità dei legami personali, il “capitale sociale”, e hanno messo a rischio la coesione della nazione. L’impotenza della politica rende più che mai necessaria l’integrazione con l’Europa che però deve ancora trovare le condizioni per un pieno riconoscimento da parte dei cittadini: il deficit non riguarda solo i bilanci ma anche la democrazia.

Viviamo ancora secondo i modelli di democrazia della società fordista del Novecento, ma il mondo è cambiato ed è necessario trovare forme nuove che mettano al centro della politica la partecipazione matura e responsabile dei cittadini. La cultura della democrazia non può essere affidata unicamente ai “social media”, che sono strumenti importanti ma senza direzione oppure etero diretti, ma deve essere fatta propria dalle grandi agenzie educative della società per trasmettere alle generazioni che si susseguono i principi, i contenuti, i valori e i metodi della democrazia, come la migliore forma di organizzazione politica in quanto capace di tutelare la libertà e i diritti dei cittadini.

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