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Ambiente

PARCHI STORICI DA TUTELARE

DANIELE ZANZI - 12/04/2013

Varese ha un patrimonio artistico – botanico unico: ben venticinque sono infatti i parchi cittadini tutelati da una Legge Nazionale, la 1089 del giugno 1939. La norma equipara questi giardini ad un bene architettonico e come tale, ogni intervento di manomissione, come la potatura o la rimozione di un soggetto arboreo, dovrebbe ottenere il benestare della Sovrintendenza regionale ai beni architettonici. Un vincolo dunque forte e condivisibile che ha salvato molti parchi italiani e che tuttavia a Varese è stato più volte, non solo negli anni del boom economico, ma anche di recente – vedi il caso di Villa Augusta – violato od eluso.

Delle venticinque aree tutelate solo sei sono di proprietà pubblica; ben diciannove sono private. Un vero “tesoretto verde” che va a formare la spina dorsale della nomea di “Città di Giardini”: oltre tre milioni di metri quadri di verde vincolati e protetti; una caratteristica che definisce e qualifica il nostro territorio e il nostro turismo perché nessun altro capoluogo di Provincia italiano può mettere sul piatto tali numeri.

Un patrimonio ambientale che ha dietro di sé poi una storia, una cultura, delle famiglie che ne hanno permesso la costruzione, degli architetti e dei giardinieri che l’hanno realizzato.

Come ebbi più volte a scrivere e ad affermare questo tesoro avrebbe anzitutto bisogno di un segnale politico forte, capace di dare al nostro ambiente e ai nostri parchi la dignità e l’ importanza che meritano. A più riprese ho proposto, e con me molti altri varesini, che le competenze nella gestione, valorizzazione e tutela dei nostri parchi storici, dei nostri alberi fossero accorpate all’Assessorato alla Cultura e non più dipendenti dalle direttive delle aree tecniche o dell’Assessorato ai Lavori Pubblici. Sarebbe un segnale unico ed innovativo per il nostro Paese.

Un meritorio segno che solo città come Varese, che hanno la fortuna di poter disporre di un tale ben di Dio ambientale, potrebbero lanciare alla nostra disastrata Italia.

Avremmo così uno strumento politico unico e singolare per programmare non a breve, ma a lungo termine la gestione e la conservazione di quello che è non un semplice fatto tecnico od estetico, ma l’ essenza stessa del nostro territorio, della nostra sostenibilità ambientale e turistica. In poche parole della qualità della nostra vita e di quella dei nostri figli.

Varese sembra muoversi invece in direzione opposta, ponendo molta enfasi e sforzi sul mero fatto tecnico e proponendo alla cittadinanza un tourbillon di iniziative, fatte di proclami, inaugurazioni – che forse è meglio chiamare riattamenti o riordini di situazioni indecenti lasciate incancrenire per anni – , regolamenti del verde, nuove piantagioni e rimozione di alberi con a supporto i più svariati motivi tecnici. Emblematica in tal senso è la recente proposta avanzata dai competenti uffici tecnici di procedere alla rimozione degli esemplari di Calocedrus decurrrens, posti a dimora negli anni ’60- ‘ 70, dietro la fontana centrale nei parterre dei settecenteschi Giardini Estensi. Le piante saranno sacrificate nel nome di una non congruità della specie vegetale – di origine nord americana e introdotta in Europa nel 1853 – e del voler riportare il parco al suo disegno originario settecentesco. Viene anche prodotta a supporto della proposta un’ immagine degli storici parterre datata attorno al 1850, quindi vicina a quello che doveva essere l’ aspetto in origine della residenza nobiliare del Duca di Varese. Lungi da me entrare in disquisizioni tecnico – storiche – culturali sulla congruità dell’ intervento: sarei subito zittito – ahimè – come portatore di conflitti d’ interesse! Tuttavia da semplice cittadino amante della sua città sento il dovere di esprimere alcune precisazioni accompagnate da una proposta costruttiva finale.

Il restauro di un giardino storico è campo difficile, non fosse altro perché, a differenza di un monumento o di un manufatto lapideo, nei parchi il tempo porta necessariamente a mutamenti delle situazioni originarie. Un giardino si modifica infatti col crescere degli alberi, con il cambiare delle proprietà, con gli agenti atmosferici che possono distruggere o rovinare una visuale o una prospettiva. Mettere le mani su di un giardino storico non è compito facile, da sottovalutare o da compiere a spizzichi e bocconi, con interventi casuali, isolati o eseguiti una tantum quando si ha qualche avanzo in bilancio. Occorre un piano preciso ed esaustivo che tenga conto della storia, del susseguirsi delle epoche e dei fatti; occorre rigore metodologico; occorre avere un piano pluriennale non solo tecnico, ma anche finanziario a supporto.

Tutto questo, nel caso specifico degli Estensi, è stato fatto? Sembra proprio di no! Si è espressa la volontà di eliminare piante non indigene, ma allora perché nell’ ultimo decennio si sono riempiti gli stessi Estensi e la contigua Villa Mirabello con decine di sequoie americane e altrettanti abeti del Caucaso? E perché in una recente pubblicazione divulgativa sui tesori botanici di Varese scritta ed edita dal Comune stesso, con tanto di prefazione del Sindaco Fontana, i medesimi “morituri” calocedri sono citati, con tanto di foto, tra gli esemplari più significativi e preziosi degli Estensi? Che si mettano d’accordo! La “pulizia etnica botanica” nei giardini storici è ardua da applicarsi perché nel corso dei secoli si sono sovrapposti diverse mani e stili . E quali scegliere o privilegiare? Non è che si debba abbattere la facciata neoclassica della nostra Basilica di San Vittore perché oscura la visuale dell’ antecedente Battistero romanico. Vi sono foto dei primi del Novecento in cui a lato della fontana centrale campeggiano due sequoie americane, enormi, e molto più invadenti degli attuali calocedri. Furono abbattute perché fortemente deperienti. Sulla sommità degli Estensi campeggiava una Gloriette, oggi vi sono abeti della Norvegia. Togliamo tutto, dimenticando che quello che si vede fu impiantato nella metà del XIX secolo? E come sottendere il pessimo segnale che si andrebbe a dare eliminando piante ancora sanissime, solo perché non congrue?

In un restauro botanico rigoroso ed esaustivo potrebbe anche starci, ma riflettiamoci bene, non buttiamo lì una proposta senza un piano e uno studio meditati e condivisi. Non varrebbe forse la pena, e qui sta la seconda mia costruttiva proposta, di nominare un curatore scientifico o un apposito comitato a tutela e programmazione dei nostri parchi storici? La bellezza e la storicità delle nostre architetture vegetali lo imporrebbero e lo meriterebbero: si avrebbe la possibilità di esprimere una visione globale e rigorosa sul destino da darsi ai nostri tesori verdi anziché affidarsi a decisioni soggettive ed estemporanee, prese magari sotto stimoli esterni condizionati dalla brevità di un effimero mandato elettorale !!

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