Una volta – così si racconta – i duelli si svolgevano di buon mattino, per evitare presenze e occhi indiscreti, tranne malcapitati braccianti agricoli costretti a svegliarsi prima dell’alba, e in luoghi appartati: in qualche radura di campagna, vicino a un convento o a un cimitero. Adesso si preferiscono visibilissimi “pratoni”, e una ressa di partecipanti e comunicatori mediatici, ancorché invisi ai protagonisti. Poi capita che uno dei duellanti sia costretto a evitare la sfida a causa di un febbrone da cavallo, ma nel sito indicato è presente il suo padrino, nel caso un padrino politico.
È capitato a Marco Reguzzoni da Busto – capintesta del presunto “cerchio magico”, colpito dall’influenza – al raduno leghista di Pontida. Per lui, e meglio di lui, a fare un po’ da contraltare all’attuale segretario e neo-governatore della Lombardia Bobo Maroni, c’era Umberto Bossi.
Ma Pontida, a ben vedere, e sempreché sia vero ciò che si tramanda, non dovrebbe essere un luogo di duelli, bensì di alleanze. Cosa che – nonostante alcuni dissacranti tentativi – è stata ribadita, a cominciare proprio dal “padre-padrino” fondatore Umberto Bossi (e anche da Maroni), che ha invitato tutti (coloro i quali erano presenti; non una folla immane, stavolta) a darsi la mano e a stare uniti, come fa il sacerdote durante la messa quando si recita il Padrenostro. Con una precisazione che Bossi, da par suo, ha chiarito: “Chi dice che nella Lega va tutto bene è un leccaculo!”.
In verità Bossi non ha torto. Le elezioni ultime e recenti – spalmando il risultato a livello nazionale – non sono andate benissimo. E se poi Bobo Maroni è riuscito a mantenere e a posare le sue terga su due poltrone, quella di segretario del Carroccio e quella di presidente della giunta regionale, è anche vero che adesso, a differenza del passato, il vecchio Berlusca e le sue camicie azzurre lo tengono stretto per i testicoli. E non è una bellissima situazione.
Il progetto di macroregione – visto che Piemonte, Lombardia e Veneto (e anche il Friuli-Venezia Giulia) sono tutte regioni amministrativamente guidate da un leghista – ha i suoi aspetti folclorici, ripresi bene a Pontida con tanto di firma e di patto solenne tra Cota, Bobo e Zaia, i tre ras del leghismo nordico. Ma a una ragionevole e non propagandistica analisi non si tratta di una realtà diffusa e soprattutto uguale. In Piemonte Cota vinse di misura. Del successo di Bobo s’è appena detto. Zaia fa da sé, e com’è sempre vero per i veneti “chi fa da sé fa per tre” (minicontestazioni a parte).
Del resto, si pensi a quell’altra macroregione, che è quella del centro-nord, amministrata da quaranta e passa anni dai “rossi”, prima Pci, poi Pds, poi Ds, poi Pd: che senso ha avuto la loro somiglianza, se non un parziale accentramento di potere e di clientele sul modello romano? Il problema, probabilmente, non è la macroregione (che poi ogni cinque anni può cambiare registro e non è ineluttabile) ma chi e come comanda e in nome di che cosa. Gli attuali tempi di crisi – in Veneto se ne sono accorti forse prima degli altri – fanno il resto.
In quanto ai presunti ed eventuali redde rationem interni (peccato che Reguzzoni fosse indisposto ma gli si augura una pronta guarigione), anche qui c’è molta propaganda e poco costrutto. L’anno scorso, con un’uscita non felicissima, Maroni disse che non poteva lui varesino (di Lozza) essere invidioso di un bustocco. Quest’anno a Pontida ha tirato fuori i diamanti di Belsito (ndr, diecimila euro l’uno, acquistati evidentemente con i soldi pervenuti da “Roma Ladrona”), dicendo che saranno restituiti, in quanto al loro valore, al popolo leghista, cioè alle sezioni più operose. Ma quei diamanti sono stati sempre di proprietà dei leghisti, o almeno così dovrebbe essere: effetti cinematografici di Pontida.
In quanto alla disfida tra Bobo e Reguzzoni – bossiano di ferro, il secondo, e dunque (fino a poco tempo fa) antimaroniano – essa assomiglia un po’ a quelle sassaiole locali tra i giovani degli anni Trenta, anche nel Varesotto, di cui si fa menzione in qualche racconto: sassaiole tra “quii de Sant’Ambroeus e de Masnagh; tra quii de Daveri e de Gallià, tra quii de Cas-ciagh e de Luinà…”. Solo per passatempo, forse, non essendoci la televisione, si offendevano e si scagliavano pietre gli uni e gli altri asserragliati sulle proprie linee di confine. Ma senza farsi davvero male.
Poi una volta divenuti adulti (neanche tanto) si ritrovarono tutti a combattere le inutili guerre del Duce.
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