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Cultura

A MESSA IN SAN FRANCESCO

GIUSEPPE TERZIROLI - 05/04/2013

La chiesa dei Cappuccini

Mi spiego con un esempio e poi vado diritto al tema. Prima degli anni Settanta e dei restauri era la Chiesa del cimitero, oggi tutti la conoscono come Santo Stefano di Bizzozero.

Abbiamo riletto qualche pubblicazione che parla della presenza dei Cappuccini a Varese, sollecitati dal desiderio di quasi voler sovrapporre la figura del nuovo papa Francesco a quella dei nostri cari padri attuali e di quelli che li hanno preceduti.

Direi: fondamentale è l’opera di padre Fedele Merelli, edita dal Centro Studi Cappuccini lombardi, Milano 1991, che fa preciso riferimento alle Cappelle del Rosario al Sacro Monte sopra Varese. Il testo chiarisce il ruolo di Padre Giambattista Aguggiari da Monza, che – come noto – risulta essere il vero padre della montagna sacra varesina, così come oggi la vediamo. Vi si descrivono impegni, direzione dei lavori, attività di predicazioni ferventi e continuative, anche episodi umanissimi di contrasti e litigi.

Padre Fidenzio Volpi, storico e amatissimo ministro provinciale dei Cappuccini lombardi degli anni ’90 così chiarisce il punto nella prefazione al libro: “Ma è proprio lì che si irrobustiscono le virtù, la costanza e l’impegno dei confratelli. È proprio in questa debolezza che si manifesta la forza di Dio e della sua Madre Santissima”.

Dopo avere svolto fedelmente il proprio centenario mandato, l’Ordine lascia definitivamente il Sacro Monte nel 1756. A Casbeno, sulle falde del colle Campigli, in zona della Quiete, continuarono a operare i frati francescani, ove avevano la loro chiesa nei pressi dell’attuale liceo classico, fino alla soppressione del convento, a seguito della emanazione delle leggi napoleoniche, che privarono la Chiesa dei beni temporali, nel 1810.

Rimase solo la Cappella sino al 1908, con la presenza illustre dei resti mortali di Francesco III d’Este, il Duca “buono” della nostra Città, che aveva desiderato proprio colà di dormire il sonno eterno.

Devono passare ben 138 anni per avere il ritorno dei francescani, quando il cardinale Schuster autorizza nel 1938 il nuovo convento e la nuova chiesa. La posizione era incantevole circondata da prati e boschi, di ampia dimensione, quasi 50.000 metri quadri a metà strada tra le parrocchie di Giubiano, Bosto e Bizzozero.

I primi padri, Teofilo e Prospero, entrarono in “Casa Marone” e “Casa Paternoster”, adattando alcuni locali a cappella. Venne l’opera di Arluffi, architetto e dell’impresa De Grandi: ovviamente la chiesa fu dedicata al Santo poverello di Assisi.

Nacque il seminario, iniziò un’intensa attività di apostolato spirituale in una zona di ben 7000 abitanti con migliaia di famiglie, alla prese dopo pochi anni con i tragici fatti della guerra mondiale.

I frati guardano sia alle missioni estere sia ai cristiani più poveri e disagiati, cui viene sempre assicurato un piatto caldo ed una parola ristoratrice.

Si abbellì la chiesa con dipinti e quadri, con l’apporto di devote famiglie (anche quella dei miei) abitanti nella zona, si forgiarono le vocazioni negli studi del liceo classico conventuale, aperto agli esterni, di cui fui anche docente incaricato, di seminaristi che divennero animatori della Chiesa nel mondo. Ricordo benissimo l’allievo Franco Cuter (Gazzaniga 1940) ora vescovo di Garjaù, in Brasile, professore di Filosofia a Varese fino al 1982. Il cardinale Montini nel 1961 volle affiancare all’opera dei nostri frati quella della parrocchia di San Carlo Borromeo condotta dall’indimenticabile Don Gianni Brambilla.

La storia si farebbe lunghissima. Torniamo al titolo: vogliamo d’ora innanzi dire che andiamo a messa in San Francesco?

Si pensi che negli anni Sessanta era ormai stabilito che le spoglie del Duca d’Este Francesco III dovevano essere trasferire dal cimitero monumentale di Giubiano proprio qui nella Chiesa dei Frati di San Francesco. In seguito non se ne fece nulla.

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