Settant’anni fa. È il 1943. Il Paese ha vissuto il 25 luglio e l’8 settembre. È caduto il fascismo. Poi, dopo quarantacinque giorni del governo di Badoglio, l’Italia firma l’armistizio con gli anglo-americani. Mussolini torna dalla Germania e per conto dei tedeschi è alla testa della Repubblica Sociale Italiana, un governo fantoccio voluto da Hitler. L’esercito del Reich occupa le regioni del Nord dopo aver risalito la penisola inseguita dalle forze degli Alleati.
In questo quadro drammatico la provincia di Varese che sotto il fascismo del primo Mussolini ha già conosciuto gli scioperi del marzo del ’43 duramente contenuti dalla Milizia, rinnova con la sua classe operaia presente nelle fabbriche aeronautiche di Varese, Vergiate e Sesto Calende e nella roccaforte tessile fra Gallarate e Busto Arsizio, la sua disperata protesta per le terribili condizioni di vita, malgrado qualche irrilevante ritocco salariale.
I tedeschi con il Ruk, il Dipartimento industriale di Leyers, hanno il controllo totale delle aziende. I salari degli operai sono molto bassi, i prezzi dei beni primari stanno raggiungendo livelli insopportabili. La propaganda sindacale clandestina chiama alla lotta.
“Ore 23,45 del 9 novembre 1943 – segnala il sottotenente Pieri dei carabinieri al Comando germanico – guardia notturna Ferrario Carlo rinveniva in piazza Manzoni a Busto Arsizio cinque manifestini stampati a Milano da Comitato sindacale, incitanti operai ad opporsi licenziamenti in conformità maestranza Breda di Milano. Detti volantini non hanno avuto diffusione”.
Il “caso” della Breda, la grande azienda milanese, assurge a simbolo per tutti. “Da ieri – continua il volantino – gli operai sono in lotta per fare cessare i licenziamenti iniziati dalla Ditta per servire i tedeschi. (…) Operai, operaie, in tutte le fabbriche bisogna seguire l’esempio della Breda. Scendiamo in lotta tutti uniti e decisi”. La parola d’ordine portata dal vento antifascista spazza l’aria e investe il Varesotto.
Sul tram fra Gallarate e Busto Arsizio il 4 dicembre la polizia fascista sequestra un pacco di manifestini abbandonato perché fosse diffuso. È l’invito del Partito comunista italiano a scioperare. Il documento ha un contenuto articolato, risale ai motivi della lotta, ricorda quanto è già avvenuto, indica il ruolo decisivo dei lavoratori”.
Sta prendendo corpo l’altro volto della Resistenza, quella combattuta non con le armi ma con la protesta ugualmente rischiosa. È la Resistenza “disarmata”. “Scendete in lotta – dicono i volantini – fermate le macchine, manifestate in strada contro i padroni profittatori e gli hitlero-fascisti. I nostri figli come i loro piangono perché hanno fame e noi non abbiamo il pane per sfamarli. Essi hanno freddo e noi non abbiamo né legna né carbone per riscaldarli”.
Ma cosa chiedono in concreto gli operai durante questa catena di scioperi in piena occupazione tedesca sfidando i mitra delle SS? Aumenti consistenti della paga, sino al 100%, pagamento degli arretrati, raddoppio delle razioni viveri, mezzo chilo di pane al giorno, olio e zucchero, blocco dei licenziamenti, liberazione dei detenuti, allontanamento delle SS dalle fabbriche. La luna.
I fascisti tentano di fare alcune concessioni, promettono premi di produzione sapendo di mentire e anche aumenti di salari che i tedeschi smentiscono in modo secco.
Il 21 dicembre 1943 il questore Antonio Solinas (quello che ha appena trasmesso gli elenchi degli ebrei al Comandante tedesco) telegrafa al Ministero dell’Interno: “sciopero bianco iniziatosi fine settimana scorsa all’Isotta Fraschini di Saronno est andato estendendosi vari altri stabilimenti. Complessivamente dei centotrentamila lavoratori industria hanno attuato sciopero circa settemila operai ai quali eri si sono aggiunti altrettanti dello stabilimento Savoia Marchetti di Sesto Calende. Nessun incidente. Ordine pubblico tranquillo”. La repressione impedisce in altri casi che gli scioperi possano decollare. Le porte della Germania sono aperte. Chi è deportato sa il proprio destino. La Savoia Marchetti cessa la protesta. Telegrafa il 22 dicembre Solinas al Ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi: “Si est pure riusciti prevenire ed evitare sciopero due stabilimenti rimasti sinora fermi. In sostanza oggi non hanno lavorato stabilimenti Busto Arsizio et Castellanza”. Ma il fuoco arde. La classe operaia sfida il regime con estremo coraggio. Non cede. “Comunicasi – dice un fonogramma dei carabinieri di Saronno – che maestranza Cotonificio Solbiati di Solbiate Olona non ha ripreso il lavoro e continua sciopero bianco”. La situazione non migliore nei giorni successivi. A Busto Arsizio cinquemila operai hanno incrociato le braccia. I tedeschi minacciano ritorsioni nel caso il lavoro non riprenda nel giro di quarantotto ore. Il Questore Solinas il 29 dicembre preoccupato. A Busto Arsizio una pattuglia della RSI è stata presa di mira con lancio di due bombe a mano e di colpi di pistola.
Il quadro completo degli scioperi emerge da un documento della Federazione del Fascio repubblicano. A Varese si sono astenuti dal lavoro trecento operai della Conciaria “Cornelia”, cinquecento della Conciaria di Valle Olona, settecento del Calzaturificio di Varese, duemila della Fraschini di Saronno, quattrocento della Solbiati di Solbiate Olona, settecento del Cotonificio Campiani, centoottantacinque del Lanificio Ubertalli, quaranta della Tessitura Fontana di Fagnano olona, e altri centinaia della miriade di industrie metalmeccaniche. Un quadro talmente “eversivo” che i tedeschi decidono di stroncare con durezza visto che i fascisti paiono soccombere. Hitler invia in Italia il generale delle SS Otto Zimmermann con compiti straordinari. Chi sciopera finisce diritto davanti alla Corte Marziale. Prevista la fucilazione. La GNR di Varese, l’orecchio del regime, scrive a Mussolini. È la fine dicembre 1943: “Dopo alcuni giorni di sciopero si sono portati presso allo stabilimento “Aeronautica Macchi” elementi delle SS e legionari provenienti da Milano. L’ufficiale delle SS e legionari provenienti da Milano. L’ufficiale delle SS dopo aver compilato un elenco degli elementi più turbolenti, ha avvertito per mezzo dell’altoparlante che se entro cinque minuti non fosse stato ripreso il lavoro, avrebbe fatto eseguire sul posto qualche fucilazione. Il lavoro è stato così ripreso immediatamente e i tedeschi se ne sono andati non senza aver prelevato quattro ostaggi”.
La risposta degli operai non si fa attendere. Appena ripartiti i tedeschi, lo sciopero riprende in forma massiccia: millecinquecento operai alla “Macchi” si rifiutano di lavorare seguiti da settecento del calzaturificio di Varese, ottocento della “Cornelia”, quattrocento della “Carrozzeria Macchi”. La protesta dilaga fra Busto Arsizio, Gallarate, Saronno. La questura segnala che gli scioperanti sono 6354. Qualche giorno di tregua poi i telai e le linee di produzione si fermano ancora.
È il momento di Zimmermann che piomba sul posto con i suoi ufficiali come un falco. Il vice Questore Varlaro fa sapere che a Busto Arsizio i tedeschi hanno stroncato uno sciopero “fermando alcuni operai indiziati di sobillazione”. Dal 18 settembre del ’43 gli operai delle Officine Meccaniche Comerio del basso Varesotto sono l’esempio vivente della lotta. Scioperano a singhiozzo. I tedeschi e i fascisti perdono la testa. Il 10 gennaio 1944 lo sciopero assume maggiori dimensioni. Le SS usano il pugno d’acciaio. Gli operai sono radunati, circondati dalle mitragliatrici, nel cortile centrale della fabbrica. Melchiorre Comerio, uno dei proprietari, è accusato d’aver promosso la manifestazione. Accanto a lui, fra gli altri, c’è Vittorio Arconti, comunista, più volte inviato al confino dal regime. Sarà deportato e finirà la sua vita a Gusen con altri compagni della Commissione interna.
La lotta continuerà segnata dal sangue di tanti caduti. Dopo l’autunno, la primavera della Liberazione. Il 25 aprile 1945 uno storico corteo di lavoratori, proveniente dalla Valle Olona, sede delle fabbriche conciarie dove più dura fu la repressione, spolpando la carne viva di centinaia di operai, raggiungerà il centro di Varese unendosi agli altri dei sobborghi vicini. Per i nazifascismi e i loro servi sarà la fine.
You must be logged in to post a comment Login