La crisi della politica dipende dalla sua rinuncia a costruire il futuro sulla base di principi e valori condivisi. Siamo diventati autoreferenziali, incapaci di progettare le nostre azioni nel tempo e conseguentemente la politica si è autolimitata alla gestione dell’esistente.
Da troppo tempo i cittadini pensano di poter impunemente ingannare se stessi affidandosi alla rappresentazione conformista della realtà e rimandando all’infinito la presa di coscienza dei problemi, allontanandone la soluzione.
Il presente ha annientato l’etica che si è trasformata, secondo il filosofo Adorno, in una “triste scienza”, incapace di riflessione critica, premessa della analisi; siamo diventati una società nella quale l’apparenza sembra essere il tutto.
Secondo l’ultimo Rapporto Eurispes, si ha “la sensazione che il patto di cittadinanza che ha sinora tenuto insieme il Paese sia sul punto di frantumarsi e stia per aprirsi una stagione di conflitti la cui profondità, ampiezza e i possibili esiti non sono oggi valutabili”.
Se la società si rapporta a considerazioni empiriche, quali gli interessi, i bisogni, i desideri e le preferenze delle persone, non si persegue un ideale di società giusta, e se si fraintende il senso dell’etica non riusciamo più a distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, ma impariamo soltanto “a fare meglio i conti”.
Immanuel Kant, sin dal diciottesimo secolo, aveva ammonito che ciascuna persona può arrivare per via razionale a conoscere la legge morale e ad applicarla anche alla vita pubblica. Quando è la ragione a guidare le nostre volontà diventiamo capaci di superare il nostro egoismo; la nostra capacità di raziocinio si collega alla nostra libertà, ciò che ci distingue dall’esistenza puramente animale.
Oggi la risorsa più importante della società sembra essere costituita dall’informazione il cui accesso costituisce il nuovo parametro che definisce il potere. Da un lato ciò significa che le idee trovano nuove possibilità di espressione e l’opinione pubblica, liberata dai vincoli delle appartenenze ideologiche e dal controllo sociale, accetta sempre meno di essere etero diretta e vuole riappropriarsi della delega che per lungo tempo aveva affidato ai partiti. D’altro canto le informazioni, prive di un vero contenuto in termini di valori e di comunicazione, influiscono negativamente sulla qualità della politica che è dominata dalle emozioni e dai sentimenti (di protesta, di rabbia, di delusione, di acritica adesione a postulati non verificati). La società civile è divenuta volubile, permeabile, facilmente manipolabile proprio da quei “media” che dovrebbero renderla più autonoma; il trionfo della società dell’informazione corrisponde al punto più basso della esperienza politica.
Chi si era illuso che l’ingresso di esponenti della società civile in Parlamento, attraverso il successo conseguito dal Movimento Cinque Stelle, potesse rappresentare un rinnovamento del nostro malato sistema politico ha dovuto ricredersi. Questi nuovi rappresentanti che non parlano con nessuno, che disprezzano la stampa, che affermano il principio “ognuno vale uno” ma lo contraddicono obbedendo ciecamente al capo carismatico, si dimostrano semplicemente presuntuosi e arroganti, ma sono anche lo specchio di una società che confonde l’etica con l’utilitarismo.
Forse non ci rendiamo conto di quanto è accaduto. Non c’è più quello straordinario partito che è stato la Democrazia Cristiana, l’unico capace di tenere insieme il popolo e l’elite, i borghesi e gli operai, i contadini e gli artigiani, i clericali e i laici. I soggetti politici della Seconda Repubblica sono fatti oggetto della disistima popolare per la loro autoreferenzialità e la scena politica italiana è rappresentata da due forme di populismo, uno già sperimentato nella sua pericolosità, quello di Berlusconi, e l’altro, quello di Grillo, totalmente sprovvisto di progettualità e di senso della responsabilità collettiva.
Il M5S non dà affatto voce al popolo, bensì rispecchia l’opinione di un pubblico dove si è consumata la rottura tra un elevato livello di istruzione professionale e una sana educazione civica. I “grillini” vanno rincorrendo utopie perse nella notte dei tempi e gli altri partiti, per ottenere consensi, si affidano ai leader e a personalità prese dalla società civile senza accorgersi che in tal modo non fanno che confermare nell’opinione generale la loro inadeguatezza.
È fallito il modello del “partito di massa” organizzato intorno alla militanza, radicato sul territorio, tenuto insieme dalla disciplina, ma non è decollata la forma alternativa del “partito leggero”, fatto di leadership e comunicazione.
C’è la sensazione che siamo di fronte a una crisi insolubile: di sistema, di uomini, di strategie; i leader che non hanno vinto e neppure perso tornano a sfidarsi e vedono in altre prossime elezioni l’unico modo di camuffare la loro tragica impotenza.
È nata una società nuova, arrabbiata verso la politica, ma anche spaventata dai processi di globalizzazione, con il lavoro che viene meno, l’industria che si sposta altrove, le differenze sociali che aumentano e la protezione dello “Stato sociale” che diminuisce.
Per rimettersi in gioco occorre ritrovare le basi dell’etica che ci permette di superare le faziosità e gli interessi di parte, imboccare la strada verso la buona società, ritrovare il senso e la finalità della politica.
Bisogna imparare a riconoscere i meccanismi di un mondo interconnesso, analizzare il lascito della storia, individuare le tendenze e costruire una bussola per orientarsi verso un futuro incerto ed enigmatico. Solo così, conoscendo, riflettendo e ragionando, sarà possibile evitare che gli eventi ci travolgano.
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