Come diversi altri Stati della Confederazione hanno già fatto, anche lo Stato dell’Illinois sta per ufficializzare la cosiddetta “legalizzazione del matrimonio gay”. Sentendo questo termine, e soprattutto il relativo ubiquo frastuono mediatico che in questi giorni ad esso si accompagna, un ipotetico marziano ragionevole, piovuto dallo spazio su questa parte del pianeta, potrebbe pensare che, se qualche settimana fa due gay si fossero sposati, davanti a un giudice di pace, essi avrebbero commesso un reato vero e proprio, perseguibile per legge e passibile di sanzioni pecuniarie o magari addirittura di detenzione. Il che spingerebbe giustamente il nostro marziano a pensare cose del tipo: poverini questi gay, e che disumana legge era quella che gli impediva di sposarsi, e che esempio di civiltà ci darà presto questo Illinois!
Poco dopo, però, forse qualcuno un po’ meglio informato farebbe notare al nostro marziano ragionevole che qui i gay possono da tempo sposarsi tranquillamente, quando e dove meglio credono; che nessuno glielo vieta e men che meno una legge. Insomma, il nostro marziano scoprirebbe che sposarsi non è mai stato illegale per due gay, né in Illinois né in qualsiasi altro Stato, su questa parte del pianeta. Facendo qualche ulteriore approfondimento, sempre con qualcuno un po’ meglio informato, il nostro marziano scoprirebbe anche che per una coppia gay non è mai stato illegale neanche mettere in comunione i propri beni (o invece non farlo, se così preferiscono), garantirsi la mutua assistenza in caso di bisogno, e dettare le proprie disposizioni testamentarie. Un semplice atto notarile ed ecco fatto.
A sentirsi dire tutto ciò, è probabile che, poco dopo, sopra la testa del nostro marziano, si materializzi la classica nuvoletta dei fumetti, con un bel punto di domanda dentro: perché mai si parla di “legalizzazione”? Informato poi sul fatto che da secoli, qui sulla terra, la società civile ha nel matrimonio uno dei suoi fondamenti — in quanto ideale punto di partenza o eventualmente di arrivo (recentemente anche di transito, se laicamente inteso) per chiunque aspiri a riconoscere la propria prole generata secondo natura — nella suddetta nuvoletta apparirebbe un secondo punto di domanda: e cosa centrano i gay in tutto ciò, visto che generare non possono? Magari anche accompagnato da un’esclamazione un po’ spazientita del tipo: “matrimonio gay”, ma di cosa stiamo parlando: unicorni?
Ma prima che il marziano ragionevole si avventuri più in là lungo questa pericolosa china (l’arbitro dell’omofobia ha il cartellino rosso facile di questi tempi…), qualcuno un po’ meglio informato gli farebbe subito presente, come per altro ha anche fatto il presidente di questa parte del pianeta, in un recente discorso tenuto a Chicago per celebrare l’imminente “legalizzazione,” che la società deve rispondere a nuovi impulsi, includere e capitalizzare le nuove risorse affettive di chi vuole essere padre e madre, ma secondo le proprie tendenze sessuali; che riconoscere questo potenziale vuol dire fare un passo avanti e rendere questa nostra società migliore, più civile, e soprattutto garantire ad un bambino abbandonato l’affetto ed il sostegno di persone che desiderano ardentemente prendersene cura, magari in attesa di un altro figlio tutto loro, frutto dell’inseminazione artificiale o della provetta.
Ad onor del vero quest’ultima cosa il presidente non l’ha detta nel recente discorso di Chicago; l’avrà forse pensata. Ha invece detto un’altra cosa, molto più interessante, che è forse sfuggita ai più. In uno di quei momenti salienti — qui si chiamano “momenti emozionali” — ha infatti ricordato la sua infanzia di bambino abbandonato dal padre, e cresciuto da una “mamma single”; un bambino, come ha dichiarato apertamente il presidente stesso, sofferente per la mancanza di una presenza paterna in casa. Frase curiosa, osserverebbe allora il marziano ragionevole. Non si è mica appena detto che padre e madre sono ormai concetti obsoleti? Che senso ha allora che il presidente dichiari di aver sentito la mancanza di un padre in casa? E se la madre del presidente, invece di crescerlo da sé, avesse deciso di rifarsi una vita, magari unendosi in ‘matrimonio’ con una partner dello stesso sesso e avesse così imposto a suo figlio una situazione del tutto aliena a quella nella quale quel figlio era stato generato, cosa avrebbe provato quel bambino ora presidente? E cosa proveranno i bambini cui, contrariamente a quanto è avvenuto per lui, potrebbe invece venire imposto un tipo di convivenza di questo strano genere? È forse questo il modo in cui la nuova civile società vagheggiata dal presidente di questa parte del pianeta intende ‘prendersi cura ‘ dei bambini? Inventando unicorni? Non si poteva invece usare energie e risorse dello Stato per sostenere l’idea, forse un po’ datata (anzi antica come il mondo), ma meno metafisica, di un bel puledrino? A queste parole del marziano, da ogni dove si alzerebbero urla e strepiti: rispedite subito questo marziano omofobo da dov’è venuto. Via, via, fuori di qua; non c’è posto per uno come lui su questo pianeta!
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