La città che scopre l’esistenza di un problema notevole – l’ampliamento dell’ospedale Filippo Del Ponte – dopo che se ne parla da anni, dopo due votazioni del Consiglio comunale e aspre polemiche, è essa stessa un vero problema alla cui esistenza e sviluppo hanno concorso più fattori.
Il fenomeno di questa disattenzione-disaffezione alla cosa pubblica è pluridecennale, ha fatto registrare altri episodi clamorosi, eppure non ci si è mai preoccupati di trovare qualche rimedio. Le stesse istituzioni, formalmente sempre corrette nella informazione delle loro iniziative, sembra che non si siano poste la questione. E un po’ le si può capire visto che strumenti di partecipazione democratica come circoscrizioni e consigli vari non hanno risposto alle attese.
Un effettivo rapporto con cittadini attenti alla gestione della città e del territorio avrebbe un ritorno molto positivo, renderebbe più agevole la soluzione di parecchi problemi; non esagero se dico che sarebbe un eccellente indizio di maturità civica.
L’attuale situazione ha forti radici nell’atteggiamento del nostro elettorato che muta dopo lunghi cicli e solo quando le stagioni politiche declinano altrove, non da noi. Si vota per abitudine, non per scelta razionale, cioè come premio per il buon lavoro svolto. Questo per la verità accade a volte anche nel Paese, noi a Varese sicuramente esageriamo con le deleghe in bianco, acritiche: è proprio un segnale di disinteresse per le questioni cittadine.
Possiamo ipotizzare responsabilità di noi giornalisti se l’opinione pubblica non reagisce come dovrebbe davanti a situazioni abnormi che dopo una rissa furiosa, roba di pochi giorni, finiscono subito nel dimenticatoio per essere poi recuperate, con altrettanto agonismo, anni dopo e quindi ancora di nuovo rapidamente surgelate.
Alla base del flop partecipativo può giocare anche la mancata adesione piena di entusiasmo delle corporazioni professionali, che a Varese hanno una nobile storia. Ci sono ancora coraggiosi alfieri, ma pare che intervengano a titolo personale le volte che lo fanno.
Questa lontananza dei cittadini comporta una responsabilità anche dei partiti più impegnati a gestire la separatezza dai loro rivali che non il raggiungimento, in collaborazione, di un obiettivo utile a tutti.
Forse si arretra perché, a differenza di altre nazioni, una forte educazione civica non comincia dalla scuola.
La città che non partecipa, ma appena può si divide, che delega e non si rende conto che non controllando e non stimolando le istituzioni rallenta la loro già difficile attività, questa città va incontro all’anonimato, a una inconcepibile autodistruzione. È un brutto segnale se ogni tanto affiorano malinconie consolatorie pensando alla prima metà del secolo scorso, quando eravamo comunità da primato per le industrie, il turismo d’elite, l’autostrada prima al mondo, il rispetto dell’ambiente, la rincorsa al boom economico che avrebbe visto Varese quarta città italiana. Traguardi che sono costati anche sofferenze, ma che hanno registrato una grande partecipazione, una cultura collettiva che abbiamo cominciato a perdere proprio nel momento del successo. Un fenomeno forse da pancia piena. Con la magra di oggi se si ricominciasse a pensare, decidere e operare tutti assieme potremmo ritornare a galla. E senza ricorrere a progetti faraonici, con la sola cultura dell’amore per la città. Amare significa impegnarsi veramente davanti a qualsiasi difficoltà. E riconoscere gli errori commessi.
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