Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Apologie Paradossali

IL NEOPAGANO E L’ESIGENZA D’AVERE UNA FEDE

COSTANTE PORTATADINO - 29/03/2013

Gerusalemme, il Santo Sepolcro

Prendiamoci una pausa nella ricerca di paradossi da salvare: è Pasqua!

Se la sorpresa che troverete nell’uovo vi piacerà, sarà già un paradosso: di solito sono robette senza valore e, da un po’ di tempo, senza neppure fantasia.

Non manca invece la fantasia ad un tale che normalmente mi “spamma”, più volte al giorno, lagne e trastulli a proposito di peripezie di pendolari; l’ultima, di ben diverso argomento ve la trascrivo: è intitolata Teodosio, dal nome dell’imperatore che per primo vietò i riti pagani in pubblico ed è accompagnata dalla foto di un tizio avvolto in una toga bianca, con un incensiere in mano.

“Questo rito fatto da appena dieci persone non si può considerare un grande evento, non attirerà l’attenzione né farà parlare, ma noi sappiamo bene ciò che esso rappresenta per la nostra causa. Celebrare questo Capodanno Romano è stato sicuramente un successo per tutti coloro che seguono la Religio degli Avi, in modo particolare perché non si è svolto in un ambiente chiuso e limitato, o camuffato sotto il nome di un altro evento, ma è avvenuto in pubblico, nel centro di uno dei simboli di Roma, il Circo Massimo, davanti gli occhi di tutti. Teodosio vietò ogni manifestazione pubblica della vecchia religione, e anche se nell’arco della storia molti hanno riproposto il Cultus Deorum (da Pomponio Leto a Giacomo Boni) nessuno è mai sceso in piazza a portare la Religio, e vedere un braciere fumante in un ambiente pubblico vi posso garantire che è un emozione unica. Quindi anche se eravamo solo un piccolo gruppo questo è sicuramente un nuovo inizio, un giorno da ricordare”.

Non riesco a soffocare un sorriso di simpatia per questo neopagano che sente l’esigenza di testimoniare una fede, non so come rivelatagli e non so neppure per quale degli antichi dei romani. È una fede che sfida l’opinione comune, ma … non è un paradosso, nel senso che si deve dare a questa parola. Un paradosso non è una opinione azzardata, ma è una verità non riconosciuta, una corrispondenza con la realtà che l’opinione comune nega per superficialità o per conformismo. Era un paradosso per San Paolo il tempio al dio ignoto, da cui trae lo spunto per il discorso all’Aeropago di Atene. Non si può adorare ciò che non si conosce, ma si può tener viva l’attesa di una rivelazione, alimentare la Pietas, nobile sentimento ed esigenza umana, che però risulta vana se non s’impegna a verificare dentro la storia umana la possibilità di una rivelazione avvenuta.

La differenza tra questa religiosità “naturale” e la rivelazione cristiana sta nel fatto che quest’ultima si sottopone, sin dall’inizio e fino al presente, al vaglio della ragione e dei metodi che essa applica per riconoscere la validità di ogni affermazione: per esempio, per un fatto storico come la morte e la resurrezione di Gesù, l’esistenza di testimonianze credibili a proposito di un fatto pur tanto inaudito da potersi definire paradossale. Credere o non credere non è un atto di volontà irrazionale o di semplice ribellione al conformismo dominante: è un superamento della conoscenza esigito dalla ragione stessa, è la X postulata per risolvere il problema di riconoscere un significato della realtà che la ragione da sola non riesce ad individuare.

La repulsione che il paradosso ispira alla ragione concreta, condizionata dai pregiudizi e dalle abitudini conformate alla cultura dominante, può essere superata solo da un “andare a vedere” come fecero i discepoli di fronte all’annuncio del sepolcro vuoto, portato dalle donne, testimoni non credibili perché legalmente non riconosciute. Andarono, videro e credettero. Il paradosso diventò verità di fede.

Lo stesso accade per noi oggi: andare al sepolcro, pur carichi di ogni negatività, di ogni pregiudizio, increduli di poter spostare la pietra di chiusura, ma andarci, per un’affezione all’incontro fatto, alla speranza suscitata, al desiderio di risposta inappagato, alla sete di giustizia e di bellezza, alla curiosità evocata da un messaggio paradossale, per un’affezione alla totalità della realtà, che non può escludere la possibilità di una sorpresa imprevedibile.

A Pasqua, sfondando il guscio di cioccolato con gioia infantile, penserò a quella “incredibile” sorpresa di chi, sfondando il guscio di quel sepolcro, lo trovò vuoto.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login