Il Governo italiano in extremis si rimangia tutto e come una repubblica delle banane qualsiasi rispedisce in tempo utile in India i due marò della San Marco. Evitato un clamoroso incidente diplomatico, non la figuraccia diplomatica planetaria; liberato dai vincoli l’ambasciatore italiano Mancini; rispettati pur con le toppe i patti assunti con il gigante orientale che, per la seconda volta in pochi mesi, aveva accolto l’invito dell’Italia di permettere agli imputati di omicidio di due pescatori di fare rientro in Patria. Era già accaduto a Natale con una cauzione di 800 mila euro; si era ripetuto un mese fa per votare alle elezioni politiche, cosa possibile, fra l’altro, presso l’Ambasciata italiana di Nuova Delhi senza scomodare nessuno e spendere denaro pubblico
Restano il rammarico e lo sconcerto per un pasticcio che si poteva tranquillamente evitare e che ha mostrato per l’ennesima volta il tratto di un’Italietta furbastra e arrogante, pronta a far carte false anche per le “serenate” al sentimento nazionale. Non dimentichiamo gli onori riservati ai due rimpatriati, il ricevimento al Quirinale, gli squilli di tromba a Ciampino, il caloroso saluto del Ministro degli Esteri e del Capo di Stato Maggiore De Giorgi ancora ieri sicuro “che i nostri marinai abbiano fatto fino in fondo il loro dovere”.
Il Governo di Monti, che ha smentito la Farnesina, ha trovato giovedì, quando tutto sembrava precipitare, lo scatto di reni (!!) per tornare sui suoi passi, riconoscendo alla giurisdizione indiana il compito di giudicare i fucilieri della San Marco, rei d’aver fatto fuoco, per colpa o per dolo lo si vedrà, contro uomini innocenti scambiati per pirati.
Ora la Corte Suprema indiana ha il compito di costituire un Tribunale speciale “ad hoc” dopo aver sottratto il compito ai magistrati dello Stato del Kerala, competente per territorio, per celebrare finalmente il processo. L’India ha garantito che non ci sarà pena di morte in caso di condanna e questa era la condizione che probabilmente ha consentito di smuovere le acque. L’Italia temeva infatti il peggio.
Ora qualche considerazione per non perdere del tutto la faccia. Prima: il responsabile del disastro diplomatico deve andarsene a casa. Non è infatti tollerabile mettere alla berlina un intero Paese con tanta superficialità. Si aspetta il gesto che in Europa sarebbe già stato compiuto. Seconda: su quali basi si è potuto sostenere che un accordo assunto da un Ambasciatore, in questo caso italiano, potesse essere violato tanto impunemente? Pacta sunt servanda, è l’antica regola che presiede ai trattati internazionali. Terza: una cosa sono le questioni giuridiche, altra le condizioni pattuite, fra l’altro garantite dal Capo dello Stato e da un terzetto di ministri (Terzi, Severino, Di Paola). Quarta: è pensabile che l’intervento piccato del ministro Fornero, emersa dalle aule universitarie per l’occasione, sia stato decisivo. Il Ministro ha sommessamente ricordato che il giro d’affari fra la formichina Italia e l’elefante asiatico è di 4-5 miliardi di euro l’anno e con l’aria che tira non era il caso di fare troppo i furbi. Quinta: il fatto che la Procura militare di Roma abbia aperto un fascicolo a carico dei due indagati “per violata consegna aggravata” (regole d’ingaggio) e per “dispersione di oggetti militari” (proiettili mai ritrovati), avrebbe potuto dar luogo a scenari poco tranquillizzanti. Esisteva infatti il pericolo che lo stesso Paese, l’Italia, che stava incapponendosi a violare il patto bilaterale, potesse essere, attraverso una sua istituzione autonoma, la magistratura, protagonista di un atto di accusa pesantissimo. Un paradosso, appesantito inoltre dal fatto che la Procura non militare di Roma sta investigando sull’ipotesi di reato di omicidio. Sempre che – e questo è l’interrogativo fondamentale – si risolva il quesito attorno a cui ruota l’intera vicenda: i due spararono in acque territoriali internazionali come sostiene l’Italia o in acque indiane? L’India rivendica una Convenzione internazionale per cui le miglia dovrebbero essere ben 200 dal momento che l’oggetto in questione non è il petrolio ma la pesca di mare. La querelle fra 12 e 20 miglia alimentata sinora sarebbe fuori luogo.
Una postilla infine: l’augurio è ora che l’India non sia troppo severa, non alimenti con arroganza per altro giustificabile atti di eccessiva ritorsione. Sia benevola insomma. Il Paese che si appresta a ricevere oggi i due marò, vittime a loro volta dei loro superiori, non è più il Paese che concesse loro per la seconda volta di partire. È irritata. L’India soprattutto a differenza di quello che pensano molti italiani non è un Paese straccione. Ha una democrazia solida; ha un capo dell’opposizione di milioni di persone, Indira Ghandi alias la veneta Antonia Edvige Albina Maino, furibonda per il tradimento; è una potenza industriale enorme; ha la bomba atomica; ogni anno rilascia 20 mila lauree in ingegneria il che dà lo spessore della sua cultura scientifica. Solo gli Alfano e le Santanché di turno, ancora qualche giorni fa, si richiamavano all’ “onore nazionale” per rimarcare il significato di una fuga che appariva per molti aspetti – e loro dovrebbero saperlo a menadito – simile a quella badogliana del “tutti a casa” nell’infausto armistizio e che nei codici di comportamento della destra suona più modestamente come “fellonia”.
In realtà si è mostrata, per un’altra volta, l’Italietta di don Abbondio, tremante e pasticciona. Forse per metterci il cuore in pace e alzare il volto al cielo senza vergogna, sarebbe stato opportuno che al posto di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, su quell’aereo destinato in India fossero saliti per “consegnarsi”, rei del capolavoro compiuto, il nobiluomo Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli Esteri (per quanto ancora?) e l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ministro della Difesa, allievo del prestigioso “Morosini”!
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