Mentre la politica è alle prese con alchimie sempre più complicate peraltro abbondantemente indotte da un sistema elettorale costruito ad hoc dal centrodestra per assicurare al paese un elevato tasso di ingovernabilità, alcuni milioni di italiani over 60, e non solo, sono alle prese con un problema molto più prosaico e banale: l’acquisizione da parte dell’INPS (Istituto nazionale della previdenza sociale) del CUD da allegare alla dichiarazione dei redditi 2013, come si è sempre fatto del resto.
In passato, salvo qualche fisiologico inciampo, non c’erano mai stati grandi problemi. L’ente previdenziale inviava al domicilio dell’iscritto il documento attestante il suo reddito pensionistico, il CUD appunto, e tutto finiva lì. Ma i tecnici del governo Monti ci hanno messo lo zampino in fase di revisione della spesa imponendo all’INPS di chiedere ai suoi milioni di iscritti di procurarsi il CUD per via telematica, convinti, nella loro abissale distanza dalla realtà del paese, che fosse una misura logica, razionale, risparmiosa. Niente di nuovo sotto il sole perché questo era e resta il Paese della “dottrina dell’ora zero”, vale a dire delle riforme – dalla più piccole alle più grandi – varate a partire da una certa data senza prevedere, come accade nel resto dell’Europa occidentale, un congruo periodo di passaggio graduale, di aggiustamenti in corso d’opera.
La legge 180 che meritoriamente aboliva i manicomi fu applicata indistintamente su tutto il territorio nazionale senza che una sola delle strutture alternative previste dalla legge stessa fosse operativa. Per un’applicazione appena decente di quelle norme ci sono voluti vent’anni. A livelli molto meno importanti la stessa cosa è accaduta con le varie disposizioni contro la violenza negli stadi. Fu concesso alle società un paio di mesi o poco più per posizionare ai vari ingressi degli stadi i tornelli di controllo col grottesco risultato che vennero sì posizionati ma per mesi non funzionarono perché i collegamenti elettrici e telematici non potevano essere attivati per decreto con la bacchetta magica. In pratica si passava nei tornelli spenti, il rispetto formale della norma era salvo, la sostanza per niente ma questo è un trascurabile dettaglio nella patria dell’incertezza del diritto.
Chiusa la divagazione torniamo ai rotariani del governo Monti i quali, più che a qualche serio studio sulla reale alfabetizzazione digitale dei pensionati italiani in maggioranza titolari di modestissimi assegni falcidiati da IMU e balzelli vari, devono aver seguito i deliri di chi, in TV e in rete, racconta, un giorno sì e l’altro anche, di legioni di nonni che passano il loro tempo inchiodati al computer, tutti trasformati, in men che non si dica, in vecchie volpi di Facebook e di Twitter.
Un abbaglio avvilente e insultante. In realtà le procedure telematiche funzionano poco e male, il numero verde telefonico nazionale è sommerso di chiamate inevase e si viene invitati a chiamare nelle 24/48 ore successive, notti comprese naturalmente, i tempi di attesa risultano biblici, gli impiegati dell’INPS sull’orlo di una crisi di nervi.
Mi piacerebbe tanto che Fornero, Passera, Bondi o chi per essi alla fine di questa ennesima storiaccia burocratica ci dicessero qual è l’ammontare dei risparmi realizzabili con l’olimpica pensata. Non sarebbe stato più semplice proporre ai pensionati di scegliere tra l’opzione telematica gratuita e quella del consueto invio postale del CUD pagando, diciamo, un paio di euro? Penso che l’ente di previdenza avrebbe incassato una bella cifra lasciando in pace i suoi già tartassati clienti e senza aggiungere discredito a discredito. Ma al peggio, si sa, non c’è mai fine, almeno alle italiche latitudini.
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